Se la Chiesa non riconosce l’alito dello Spirito sul suo volto sciupato
Qualche anno fa è apparso in libreria “Quel che resta di Dio. Un discorso storico sulle forme della vita cristiana”, Einaudi, Torino 2013 di Alberto Melloni. Acuto esegeta della storia della Chiesa contemporanea, provoca, sollecita e anima le passioni del lettore.
Con questo saggio lo storico bolognese non ha nascosto la pretesa di dire una parola, quasi definitiva, sulle complesse dinamiche ecclesiali degli ultimi anni, ma ha anche proiettato i suoi interrogativi verso tutto il cinquantennio del periodo post-conciliare, senza trasferire nell’oblio gli inevitabili sviluppi storici.
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La perentoria affermazione: «La Chiesa si confonde se e quando non riconosce il tempo in cui è stata visitata da quelle spinte di rinnovamento che una, due, tre volte per millennio soffiano sul suo volto sciupato. La visitazione della Chiesa nel XX secolo è stata il concilio … Non aver inteso la visitazione ha fatto la Chiesa a pezzi» (pag.46).
Le primavere della Chiesa, cioè, arrivano sempre senza segni premonitori. Di qui lo sguardo al pontificato di Giovanni XXIII come una vetta dalla quale si sarebbe inesorabilmente decaduti. Nel corso di lunghi decenni, per inerzia e per incapacità non è stato colto tutto il profilo riformatore. Da un lato l’autoreferenzialità dei “chierici”, dall’altro taluni profili istituzionali del corpo ecclesiale e il variegato mondo degli intellettuali cattolici e dei teologi.
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L’autore rivendica la centralità della sinodalità, rimarca il correlato principio di comunione e sottolinea l’importanza di un rinnovato slancio nell’ecumenismo. Mette in evidenza la necessaria avvertenza, di fronte al pontificato di Papa Francesco, di evitare il facile lassismo secondo cui: «C’è Francesco, farà lui». Quasi fosse il primo papa postconciliare. “Un fatto è certo:”, rivendica Sandro Magister sull’Espresso del 24 dicembre 2017, “l’epico scontro frontale tra un Giovanni Paolo II e la modernità, o tra un Benedetto XVI e la ‘dittatura del relativismo’, è qualcosa che Papa Francesco non vuole in alcun modo rinverdire.”
Si fa fatica a non cogliere nel saggio qualche pregiudizio di troppo nei confronti dei pontificati precedenti. Anche se allo stesso tempo si apprezza una netta distinzione tra il magistero di Benedetto XVI e una lettura non sempre entusiasta, talvolta distorta, diffusa da molti seguaci di Papa Ratzinger.
Oltre l’infinito conflitto delle interpretazione della stagione post-conciliare, il Melloni si rivolge al mondo sacerdotale e chiede autenticità e prossimità quotidiana, prendendo le mosse dai dolori e dalle gioie di cui l’esistenza di ciascun uomo è in ogni momento intrecciata. Si può sorridere, si può essere pregiudizialmente di parte e tutto questo può infastidire, ma una domanda di verità del comportamento della vita cristiana sollecita e provoca un dialogo tra tutti gli uomini liberi.
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Il testo, infine, segnala e mette in evidenza il tratto più suggestivo e personale del cristiano, il quale dall’interno della propria esperienza di fede, perviene alla confessione testimoniale della propria adesione a Cristo Signore. «Ciò che importa», quindi, «non è quel che resta della Chiesa, ma quel che resta di Dio per gli uomini e le donne di questo tempo, dopo le visitazioni inavvertite» (pag146).
Ripartire da quella fede legata all’ortodossia e all’appartenenza. Realizzare quel cammino intrapreso con il Vaticano II, che è la “visitazione” della Chiesa da parte dello Spirito Santo e che apre le porte della povertà e della collegialità della Chiesa. Per non cadere in nuove “malebolge” e per testimoniare il Vangelo agli uomini di oggi.
Antonio Losito