di Pasqualina Stani
Il fenomeno dilagante di fake news è dovuto al fatto che tendiamo a leggere e a condividere ciò che conferma le nostre vedute. Si ipotizza che potremmo essere facili prede delle bufale per una sorta di pigrizia mentale, o resistenza a impegnarci in un ragionamento deliberato su un tema. Dove possibile tendiamo a risparmiare risorse, anche quando si tratta di pensare. Il pensiero automatico è veloce, richiede il minimo sforzo e permette di utilizzare le nostre limitate risorse mentali in altri compiti. Queste scorciatoie, ma l’altra faccia della medaglia è la maggiore facilità di cadere in eccessive semplificazioni, inscatolati nei pregiudizi.
Gli psicologi della University of Regina Hill-Levene, Usa, hanno sottoposto oltre 3.000 volontari a un compito chiamato Cognitive reflection test (CRT), che misura la capacità di ciascuno di mettere in discussione le proprie reazioni di pancia. A ognuno sono stati mostrati alcuni post di Facebook che veicolavano una notizia vera, una fake news in linea con le opinioni politiche del soggetto o una contraria: i volontari hanno dovuto dire quanto ritenevano accurata ciascuna notizia. Le persone più riflessive, che avevano totalizzato punteggi più alti nel primo test, sono state anche più abili a distinguere le bufale, a prescindere dal loro contenuto politico. Quelle meno riflessive ci sono cascate più spesso, perché più inclini a credere a tutto quello che leggevano. La tendenza a impegnarsi nel ragionamento è altra cosa, rispetto alle abilità di ragionamento.
Il risvolto positivo è che portare le persone a fermarsi a pensare potrebbe essere più semplice che invitarli a essere meno di parte o costringerli esplicitamente a rivedere i propri pregiudizi. Ci sono errori di giudizio e automatismi della mente che possono distorcere la nostra percezione della realtà. Sul fenomeno delle fake news la tendenza a muoversi dentro le proprie convinzioni, scartando come scomode le idee troppo faticose da seguire.