TARANTO – La Guardia di Finanza irrompe negli esercizi commerciali del tarantino ponendo sotto sequestro la merce afferente la canapa indiana rischiando l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti
di Monica Montanaro
Da circa un anno Taranto si è aperta ad un nuovo settore di attività produttivo risultante in forte crescita, con una domanda di mercato marcata e di rilievo remunerativo procurando cospicui profitti, il settore economico in questione riguarda la commercializzazione della canapa indiana legale, tale fenomeno si è palesato nel ginepraio di esercizi commerciali operanti in tale segmento di mercato.
Inoltre nel capoluogo jonico è sorta una azienda, circa un anno fa, che coltiva e produce proprio marjuana di elevata qualità che commercializza in tutto il territorio nazionale raggiungendo obiettivi ambiziosi con una presenza sul mercato nostrano abbastanza capillare, attualmente ha investito in oltre 70 punti vendita con una prospettiva aziendale in continuo sviluppo.
L’attività produttiva e il commercio della sturt up tarantina è in pieno ambito di legalità in quanto si attiene alla normativa legislativa approvata in Italia nel 2016 che celebra la liceità del commercio di cannabis consentendolo soltanto entro determinati limiti prefissati dal legislatore che corrispondono ad un valore di Thc (tetraidrocannabinolo, il principio psicoattivo della marijuana) tra lo 0,2 e lo 0.6 per cento, criteri che l’azienda in questione rispetta appieno non sconfinando nella trasgressione della legge penale in tema di reati concernenti la trattazione di sostanza stupefacente. Dunque un’impresa che opera nell’assoluto rispetto delle leggi vigenti com’è dimostrato dall’autorizzazione rilasciatagli dalla Camera di commercio di Taranto per l’avvio del commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti derivati dalla canapa indiana.
Il fruttuoso progetto imprenditoriale è stato ostacolato da quando alcune settimane addietro gli uomini della GdF hanno posto il sequestro su merce e scorte per detenzione di cannabis “light” denunciando la società produttrice tarantina e varie imprese commerciali insediate sul territorio locale rivenditrici di tale prodotto di ricadere nella fattispecie del reato di spaccio di sostanza stupefacente.
Nonostante codesto sequestro non fosse stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari Vilma Gilli a causa della decadenza dei termini, lo stesso gip ha emesso un nuovo decreto di sequestro preventivo demandando al tribunale del riesame la decisione ultima.
Il precedente governo emise un provvedimento di legge nel 2016 favorente rispetto alla coltivazione e alla commercializzazione della cannabis garantendo margine di azione maggiore per coloro i quali vogliano intraprendere la produzione o la rivendita di canapa indiana o dei suoi derivati, un settore produttivo in forte crescita che consente lauti introiti per le aziende che investono in tale settore di mercato. La legge approvata due anni fa presenta dei passaggi lacunosi, se da un lato favorisce il libero commercio della canapa dilatando il range dei limiti consentiti legalmente rispetto alla sua coltivazione, dall’altro non disciplina adeguatamente e lascia irrisolte questioni correlate al commercio di tale sostanza, la canapa “light” legalizzata e reperibile all’interno del tessuto sociale italiano, che possono causare situazioni ambigue rientranti in fattispecie di reato punibili per legge.
I parametri osservabili stabiliti dalla legge varata in Italia in tema di canapa indiana legalizzata fanno riferimento a codesti punti inderogabili: la coltivazione di cannabis legale in territorio italiano è consentita impiegando esclusivamente sementi registrati nell’Unione europea con un principio attivo, il Thc, corrispondente ad un valore che non può eccedere lo 0,6%, limite apposto dall’autorità legislativa affinché gli effetti psicoattivi della sostanza rimangano molto blandi.
Peraltro la legge ratificata nel 2016 stabilisce altresì gli scopi esclusivi della coltura della canapa: coltivazione e trasformazione; potenziamento di filiere integrate; l’utilizzo di semilavorati di canapa reperiti da filiere locali; elaborazione di lavori di bioingegneria, finalità didattiche, ricerca e bonifica dei terreni; produzione di prodotti alimentari, materie prime, semilavorati e cosmetici di nuova concezione impiegabili in svariati ambiti industriali.
Altri punti coercitivi posti dalla legge prevedono che il coltivatore, nonostante abbia libertà di operare senza alcuna autorizzazione, è obbligato ad archiviare i cartellini della semente da lui acquistata e le fatture inerenti al medesimo acquisto per il periodo di tempo contemplato dalla normativa in vigore.
Con l’avvio della nuova legislatura e l’insediamento dell’attuale governo vi sono state notevoli variazioni di indirizzo del programma governativo soprattutto in tema di sicurezza sotto l’influsso delle direttive che il nuovo Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha deciso di applicare sul territorio nazionale. Il neo ministro ha inasprito tutti i provvedimenti concernenti il tema delle sostanze stupefacenti, reso più sicure le nostre città con una militarizzazione massiccia impiegando tale strumento preventivamente come deterrente al compiersi di reati in primis quello dello spaccio di droga.
In continuità con tale linea politica lo stesso ministro Matteo Salvini ha diramato una circolare lo scorso 20 luglio che ha destato polemiche e allerta in coloro i quali hanno interresse nel campo della produzione e rivendita di canapa indiana poiché fissa importanti criteri per la sua commercializzazione.
Da un punto di vista formale una circolare non è equiparabile ad una legge dello Stato e dunque non possiede reale valore di legge, la sua valenza consiste nella diramazione e conoscenza presso circuiti interni e non deve essere necessariamente osservata dalla generalità dei cittadini.
Il contenuto della circolare stabilisce che il commercio della canapa indiana legale può sussistere esclusivamente in base ai parametri predefiniti legalmente, ossia un principio attivo di Thc contenuto entro lo 0,5%, pertanto i valori di cannabis che esorbitano da tale soglia massima sono da reputarsi alla stregua di sostanza stupefacente che rientra nel campo della punibilità del codice penale, dunque i reati connessi in trasgressione della predetta direttiva di legge cadono sotto la scure del Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti, legge 309/90 e della normativa antidroga.
I produttori di canapa “light” avvertono come minaccia la posizione rigida ed intransigente assunta dal ministro dell’Interno e temono di incappare nelle sabbie mobili delle norme del Testo Unico che nella fattispecie non operano un distinguo tra droghe pesanti e leggere e relative pene, la soglia tassativa dello 0,5% di Thc fa presagire in caso di trasgressione di subire l’accusa del reato di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
Una notizia rassicurante rispetto alla categoria dei coltivatori e degli imprenditori che operano nel settore deriva dal dato oggettivo che l’ambito della propria professione non costituisce reato poiché non esiste alcuna legge italiana che lo vieti, come ribadito dal codice penale nel principio di tassatività della legge a garanzia della tutela dei diritti del cittadino, principio auspicato dalla Costituzione italiana.