“La legge può avere un senso e un obiettivo giusti ma tanti sfrutteranno il pretesto di questa legge per inventarsi la rapina. Anzi già oggi c’è qualcuno che ne approfitta. E noi rientriamo in questa casistica. Basta che una persona si avvicina per strada e io, per qualsiasi motivo, la uccido, poi dico che ha tentato di scipparmi o di rapinarmi ed è risolto il problema”. Così all’Adnkronos Michele Buonamico, lo zio di Giacomo Buonamico, 23 anni, che fu ucciso dal titolare di un distributore di carburanti Tamoil nei pressi di Palo del Colle, in provincia di Bari, il 5 giugno del 2010. L’approvazione della nuova legge sulla legittima difesa fa tornare alla mente il caso, con tutte le dovute peculiarità.
Alla fine dei tre gradi di giudizio Enrico Balducci, titolare dell’attività, è stato condannato a 3 anni e 8 mesi per omicidio preterintenzionale, dopo una condanna a 10 anni in primo grado e il successivo riconoscimento delle attenuanti. Avrebbe sparato per timore di una rapina ai due giovani che erano entrati in sella a una moto nella stazione di servizio, uccidendo Giacomo che guidava e ferendo il giovane che era seduto dietro. “Non siamo dei tecnici ma ci atteniamo alle informazioni e alle notizie giornalistiche”, aggiunge.
“Per carità io, come tutti quanti, in casa vogliamo stare tutti tranquilli e quindi è anche giusto il discorso sulla legittima difesa. Non va assolutamente bene per un’area di servizio che è tutt’altra cosa da una abitazione. Non va bene. Secondo me tanta gente sfrutterà questo pretesto per inventarsi la rapina. Sono 8 anni che stiamo cercando di avere giustizia per una persona che è morta e che non ha nessun diritto. Lo Stato ti dovrebbe difendere ma questo purtroppo non è accaduto. Si è creato un castello su chi è morto dicendo il falso – afferma Buonamico – è passata la linea del rapinatore ma tutto è documentato dalle immagini. Hanno fatto in modo che passasse la linea del rapinatore per scagionare un colpevole che non è andato in galera se non per 20 giorni e alla fine ha avuto 3 anni e 8 mesi di pena. Dalle videocamere si evince che è un omicidio a tutti gli effetti, invece gli hanno dato l’omicidio preterintenzionale”.
“DENUNCIA A SALVINI PER CALUNNIA” – “La denuncia nei confronti di Salvini per calunnia non è stata ancora depositata ma gli avvocati stanno lavorando, saranno necessari alcuni giorni o forse settimane ma siamo agli sgoccioli. I tempi ci sono”, dice ancora all’Adnkronos Buonamico.
Il riferimento è ad alcune dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini che, in occasione di una recente visita a Bari per le primarie di coalizione in vista delle comunali, ha ospitato accanto a sé sul palco del comizio Enrico Balducci, peraltro ex consigliere regionale e da poco tempo diventato segretario provinciale della Lega. Si tratta dell’uomo che sparò al nipote di Michele pensando che il giovane e un suo amico, giunti su una moto nei pressi delle pompe di benzina, stessero per compiere una rapina. Salvini in quella occasione ha usato parole dure nei confronti della vittima sostenendo sostanzialmente che quando si fa il rapinatore ci si assume il rischio di morire ucciso. Affermazioni che non sono andate giù alla famiglia della vittima che già non ha accettato la condanna definitiva di Balducci a 3 anni e 8 mesi, per omicidio preterintenzionale, mai scontata in carcere, ad eccezione di 20 giorni. ”
Per qualsiasi indagato o condannato in primo grado – aggiunge Michele Buonamico – sentiamo usare sulla stampa l’aggettivo ‘presunto’. Per un ragazzo di 23 anni, che aveva alle spalle solo periodi lavorativi, si è creata la figura del rapinatore al fine di scagionare un’altra persona. E’ chiaro che questo a noi non va bene. Si gioca molto anche sul fatto che noi viviamo in un quartiere periferico di Bari, il San Paolo, nostro malgrado malfamato”, prosegue Buonamico.
“Però siamo oltre 100mila abitanti, la maggioranza dei quali cittadini che la mattina si alzano come noi per andare a guadagnarsi il pane. Non è giusto che si dicano bugie sul conto di mio nipote che era incensurato e non aveva mai avuto condanne definitive e viene classificato come rapinatore o noi come parenti di un rapinatore. A me non sta bene. Nel 2010 mio nipote aveva 6 anni e mezzo di contribuzione documentati fino al giorno del decesso, lavorava alla Zentrum di Bari”, evidenzia.
“Mettere il marchio a una persona fa parte di un discorso mediatico. Mio nipote non ha la possibilità di difendersi e di dire la sua. Adesso, mediante i filmati e le immagini, lo stiamo dimostrando a tutti, forse con ritardo ma non per colpa nostra. All’epoca gli avvocati dicevano a me e a mio fratello che i processi si fanno in tribunale ma nel frattempo veniva messo un marchio su mio nipote per sempre”.