Principale Arte, Cultura & Società Happycondria: ‘L’ho ucciso per toglierli il futuro’

Happycondria: ‘L’ho ucciso per toglierli il futuro’

“L’ho ucciso per toglierli il futuro, si presentava con aria felice ed io non sopportavo la sua felicità”. Sono le assurde, incredibili e choccanti  dichiarazioni di Said Machaouat. Il diritto ad essere felici è diventato un rischio per gli happycondriaci.

Uccidere senza un movente è quanto di più assurdo possa essere messo in atto  da un essere umano anche nel caso in cui sia afflitto da incurabili turbe mentali. Questa assurdità l’ha compiuta  il 27 enne marocchino di origine italiana Said Machaouat  che ha ucciso qualche giorno fa il giovane Stefano Leo. Quando il procuratore vicario di Torino Paolo Borgna lo ha arrestato l’omicida reo confesso  (che si era costituito spontaneamente)  ha con tutta nonchalance affermato che : “Ho scelto di uccidere questo giovane perché si presentava con aria felice. E io non sopportavo la sua felicità”. Nel descrivere la personalità dell’omicida gli inquirenti hanno sottolineato che “Parliamo di un senzatetto che non aveva soldi per mangiare, né per comprare giornali e non aveva un telefonino cellulare” un essere umano off, fuori dalla realtà, che viveva della carità altrui, abbandonato da tutti; anche  le istituzioni che dovrebbero monitorare la presenza di questi soggetti potenzialmente molto  pericolosi presenti sul territorio sono stati praticamente assenti.  Dicevamo che  Said Machaouat sembra che abbia commesso il delitto senza un movente ben chiaro, né riteniamo che le sue dichiarazioni:” Volevo ammazzare un  ragazzo come me, togliergli tutte le promesse, i figli, toglierlo ad amici e parenti” possa essere considerato un movente valido, razionale, accettabile.   Una strana vicenda sulla quale  per la sua assurdità   stanno riflettendo criminologi, psicologi, psicoterapeuti, sociologi e psichiatri. C’è veramente da essere preoccupati e tutti alla fine ci sentiamo in serio pericolo. Un dato ormai universalmente acclarato attesta in maniera inequivocabile che siamo  tutti malati di felicità, happycondriaci, salvo sacche di sofferenza che non riusciamo ad estinguere.

Quella della happycondria è la sindrome più diffusa del nuovo millennio, pare sia diventato ormai un obbligo apparire felici sempre e ovunque: al lavoro,  in famiglia e ovviamente sui social. Spesso è la smania che ci fa scaraventare un selfie sui social, per sentirci belli, finalmente raggianti e felici come gli altri  ma anche per ricevere apprezzamenti e  sentirsi adulati dagli altri. Altre volte è l’ansia  che non ci molla, perché il successo dipende solo da noi così come ce lo ripetono con i loro tormentoni coach, counselor, manuali di self-help e terapisti di mindfulness.  Altre volte ancora  vorremmo semplicemente restare fermi, low  profile, felici di lamentarci, di dare la colpa agli altri per le ingiustizie subite e di inscenare un sincero broncio apotropaico, il che sarebbe bellissimo. Ma in realtà non possiamo. Il mondo corre in modo forsennato alla ricerca della felicità e noi con lui: non chiamatela  quindi né ansia né smania, ma semplicemente happycondria, una sindrome per cui se non sollevi gli angoli della bocca sei spacciato. Per chi volesse approfondire l’argomento si rimanda ad un libro  veramente interessante :” Happycratie, Comment l’industrie du bonheur a pris le controle de nos vies” ( Happycrazia. Come l’industria  della felicità ha preso il controllo delle nostre vite”)  scritto da Edgar Canabas, ricercatore di psicologia ed Eva Illouz, sociologa.  Il saggio  punta il dito contro gli effetti  della psicologia positiva, un approccio ideato alla fine degli anni ’90 da Martin P. Deligman: risolvere disturbi e problemi non basta, per stare meglio conviene potenziare emozioni positive e risorse.

E così, mentre la psicologia ci ha trasformato tutti in potenziali pazienti affetti da carenza di gaudio, si è fatta strada una nuova dittatura. E’ l’ happycrazia. Gli autori si chiedono ci sarà ancora spazio per quella sofferenza che nelle nostre vite non si è ancora estinta?. Ci sarebbe, certo, se dopo aver inventato il test di misurazione scientifica  della felicità ( Matthieu Ricard, stando ai 256 sensori posizionati sul suo cranio dagli scienziati dell’Università del Wisconsin, è l’uomo più felice del mondo) non avessimo intasato tutto di felice contentezza. Cinema, uffici, librerie, canzoni, si occupano ormai da anni del fenomeno con cronache che provengono dalle lande della felicità, con aforismi sulla felicità che meritiamo, manuali alternativi di gioia post mindfulness, remake di classici che ci ripropongono dosi di zucchero per mandare giù la pillola ( Il ritorno di Mary Poppins al cinema) o format televisivi come ( La felicità non è una truffa di Paolo Genovesi). Persino l’ONU si è messa a stilare la classifica dei Paesi più felici sulla base  delle informazioni, dei parametri, dei coefficienti e e dei reportage che i vari corrispondenti inviano da tutte le nazioni del mondo. Ma attenti a stare alla larga dall’euforia “ photoshoppata” sui social sottolinea Donna  Freitas nel suo saggio : “ L’effetto felicità: come i social media stanno spingendo una generazione ad apparire perfetta ad ogni costo”   e Svend Brinkmann gli fa eco  spiegando  come  le  crisi ( ecologica, economica, sociale e psicologica) siano la conseguenza  della filosofia della crescita infinita; non è vero che tutte le risposte sono dentro  di noi, alzate gli occhi dal vostro ombelico, è più utile avere una visione del mondo a tutto tondo, dire almeno cinque volte al giorno “no”, ispirarsi alla filosofia stoica, praticare la negatività e, soprattutto leggere un romanzo al mese ed uno dei tanti manuali di auto aiuto nel quale si ,legge a chiare lettere come la vita è “difficile ed imprevedibile”.

Giova leggere una poesia che quest’anno festeggia i suoi duecento anni, è l’Infinito di Giacomo Leopardi che a vent’anni scoprì quanto fossero illusorie le filosofie positive e progressiste del tempo. Alla fonte della felicità leopardiana vi è l’immaginazione, è con lei che possiamo vedere ciò che la realtà ci nega, che sia una siepe o una pagina social. Resta in tutta la sua tenebrosità ed enigmaticità  il mistero dell’omicidio compiuto da Said Machaouat  e un assillante ci sorge : che tipo di  rapporto intercorre tra questa assurda vicenda con la dittatura instaurata dall’happycondria?.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione de “ CorrierePL”

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