Due brevi episodi davanti ad un giudice di pace.
Dopo aver pagato 40 Euro per avere il diritto a difendersi, un automobilista presenta ricorso contro una multa stradale. Il giudice fissa e apre l’udienza senza che il ricorrente sia stato informato: emette sentenza, negativa, e scrive che l’avviso per la udienza era stato regolarmente notificato! Quindi o un errore del Giudice di Pace o la solita disfunzione burocratica, sempre e solo però a danno del cittadino: infatti in questi casi se si vuole avere giustizia è il cittadino che deve opporsi all’errore del giudice, a proprie spese e fare appello, cioè pagare un avvocato (2500 € minimo) e aspettare, se tutto va bene, cinque o sei anni! I signori giudici di pace sanno fin troppo bene che nessuno andrà avanti, trattandosi all’origine quasi sempre di cifre modeste: si può dunque spadroneggiare impunemente, a totale danno e derisione del cittadino e della Giustizia. Ci si rivolge al Presidente del Tribunale o ad altra autorità superiore per denunciare l’abuso del giudice? Energica lavata di mani o zero risposte.
Un giudice di pace di Ferentino si occupava principalmente delle multe stradali derivate da due autovelox all’epoca installati sulla Casilina: disponeva di un cancelliere alla sua sinistra, di una efficiente signora in piedi affianco a lui che gestiva i fascicoli e discuteva coi trasgressori e, terzo, di un vigile che sorvegliava: il giudice di pace osservava e ascoltava! La quasi totalità dei ricorsi viene respinta, soldi a quintali per il Comune! il nostro automobilista è presente e preoccupato: arrivato il suo turno e dopo aver ascoltato la condanna pronunciata dalla signora di cui sopra, ricorda alla suddetta che la sua targa, come documentato nel ricorso, gli era stata rubata e che quindi quella fotografata dall’autovelox era sicuramente la macchina del ladro di targhe. La vigilessa ribatte imperturbabile che l’autovelox non fotografa la targa bensì la vettura! E conclude: “faccia appello!” E il Giudice di pace assiste e osserva compiaciuto di tanta solerzia e intelligenza.
Passiamo al Giudice togato, al tribunale. Una vertenza iniziata il 2004 concernente il solito costruttore disonesto che, realizzato un lavoro, aumenta il consuntivo arbitrariamente a proprio piacimento e pretende, poi, il pagamento di tale importo extra non autorizzato e non concordato: a avviso del buon senso, in una comunità un po’ organizzata e seria, vertenze di questo tipo -ammesso che vengano portate, e accettate!, davanti ad un giudice- si risolvono correttamente e definitivamente in, se non una, massimo due sedute cioè in due-tre settimane: qui da noi dura da tredici anni e non se ne vede la fine: il fascicolo iniziale, alto forse un cm scarso, è diventato un faldone dello spessore esattamente di 20 cm, misurati! Si prenda un metro e si veda quanti sono venti cm di scartoffie! Infatti tutti si divertono ad allungare il brodo e a condirlo sempre più con nuovi ingredienti –nella indifferenza completa del magistrato e nel godimento dei rispettivi legali– ovviamente con disperazione delle vittime. E si rinvia, continuamente e ripetutamente. E i cittadini pagano. E, giustamente, incanagliscono sempre più.
Una ulteriore avventura mi è stata riferita. Due coniugi, a mezzo di una agenzia immobiliare, trovano l’abitazione che interessa. Fissate le modalità, l’agenzia riunisce nel suo studio le parti interessate e redige l’abituale cosiddetto compromesso di vendita. Viene staccato l’assegno della caparra. Qualche giorno prima della stipula notarile il notaio informa che mancano ancora dei documenti. Nessuna obiezione. Passano però diversi giorni, poi una settimana, poi altre ancora. Ad un certo punto i compratori cominciano a preoccuparsi, anche perché la operazione di acquisto era collegata ad altra di vendita di un loro bene in fase di conclusione, per cui inviano nei termini di legge una raccomandata ai compratori fissando la data definitiva per la stipula. Al giorno della stipula manca uno dei venditori. I compratori presentatisi coi soldi contanti, non accettano più la situazione e si ritengono in diritto di rescindere il contratto e di pretendere la restituzione della caparra versata e dell’indennizzo previsto, come per Legge. Si va davanti al giudice. Anche questa una vertenza che in paesi normali si risolve in una seduta, massimo due, data la inaudita semplicità e banalità. Invece Giudice e avvocati, mestando e rimestando, fanno passare la bellezza di quasi sei anni e alla fine il risultato è il seguente: i promettenti compratori non solo perdono l’indennizzo previsto dalla Legge, quanto perdono anche la caparra versata e, dulcis in fundo, vengono condannati a pagare perfino le spese degli avvocati avversi (che sono due, essendo due i venditori). La colpa dei compratori? Aver rispettato prima il buon senso comune e poi il dettato della Legge. Essi presentano appello, quindi altri soldi e, soprattutto, altri anni che debbono passare: risultato: una questione di rescissione di un compromesso prende tredici anni per risolversi!
Ho raccolto qualche altra vicenda che illustreremo in altro momento.
Il titolo della presente nota è certamente pesante: tragico da divenire grottesco che questioni banali
oscenamente gonfiate e rimpinzite da inimmaginabili pretesti e cavilli e procedure insensate -ma non per gli addetti ai lavori!|- debbano durare diecine di anni: fascicoli iniziali di mezzo centimetro, brodolati mostruosamente a venti e trenta centimetri, che nessun giudice al mondo si sognerà mai di leggere, a tutto vantaggio dei ladroni e delinquenti.
E’ certo però che, come concludeva Pasolini, la Giustizia fa paura, comunque,! perché nella sua cecità e ferocia ha il potere fisico di stritolare, se incappi in un modo o nell’altro nelle sue spire.
L’altra tragedia, quella veramente letale e nefasta, è che i cosiddetti cittadini non avvertono, non si rendono conto!
Michele Santulli