Molti, troppi, gli studenti italiani che il nuovo studio dell’Invalsi firmato da Roberto Ricci e pubblicato a inizio ottobre considera perduti dal sistema scolastico nazionale
Parliamo di quegli studenti che la scuola perde ogni anno, andando ad accrescere le fila degli “emarginati sociali”. Cioè di quei giovani adulti che appartengono alla categoria degli ELET (Early leavers from education and training) e che spesso finiscono per convogliare nell’esercito dei NEET, gli ex studenti che non studiano né lavorano. E che, nei contesti più svantaggiati, sono facile preda della criminalità.
I dispersi impliciti
Accanto al problema della dispersione scolastica “esplicita”, che riguarda la quota di giovani (età 18 – 24 anni) con al massimo il titolo di scuola secondaria di primo grado o una qualifica di durata non superiore ai 2 anni e non più in formazione, se ne nasconde un altro. Uno più in sordina, ma non per questo meno degno di considerazione. Si tratta di quello che coinvolge i ragazzi che la scuola smarrisce anche quando arrivano a stringere tra le mani l’agognato diploma.
Ragazzi che nei test Invalsi arrivano al massimo al livello due (su cinque) in italiano e matematica e sotto il livello B1 di inglese, anziché al B2. Parliamo di giovani adulti che, vicini al diploma, hanno le stesse competenze dei loro (ex) colleghi di terza media, o al massimo di seconda superiore. A scovarli ci ha pensato l’ultimo report Invalsi.
Il risultato? In Italia i “dispersi impliciti” sono il 7,1%. E questo è un problema che va a sommarsi alla quota di studenti che non conclude gli studi superiori, oggi attestata al 14,5%. Una cifra totale che si aggira intorno al 21% e in base alla quale si può affermare che 1 studente su 5 o non conclude il ciclo di formazione superiore oppure, anche quando lo fa, non possiede le nozioni di base per affrontare il mondo del lavoro.
Guardando al problema della dispersione scolastica implicita il report, relativamente alle diverse regioni d’Italia, registra una situazione nazionale per cui:
- Le regioni più virtuose sono Provincia Autonoma di Bolzano, di Trento, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Valle d’Aosta (con valori inferiori o di poco superiori al 3%);
- Ultima posizione per la Calabria (unica a superare la soglia del 15%);
- Tra il 10% e il 15% cinque regioni: Molise, Campania, Sicilia, Basilicata e Sardegna,
- Tutte le restanti regioni registrano un tasso di dispersione implicita che oscilla dal 3% al 10%.
Analizzati sono qui quei giovani che, non possedendo le competenze fondamentali previste, restano invisibili alle statistiche e ingrossano un’area grigia della dispersione scolastica, quella implicita o nascosta. Sono giovani che rappresentano un’emergenza per il Paese per due ragioni:
- “Affrontano la vita adulta con competenze di base totalmente insufficienti per agire autonomamente e consapevolmente nella società in cui vivranno. Avranno grosse difficoltà a elaborare le informazioni a loro disposizione per prendere decisioni basate su dati di realtà e coerenti con i loro progetti di vita”;
- “Non sono individuati dal sistema, dunque molto difficilmente godranno delle azioni di supporto di cui avrebbero, invece, bisogno”.
I dati sulla dispersione scolastica esplicita in Italia
Nonostante queste notizie “infelici”, il report sottolinea come “gli sforzi che hanno visto l’Italia degli ultimi anni tentare di ridurre il fenomeno della dispersione esplicita nella penisola stanno portando a buoni risultati, avvicinandola alla soglia del 10%. Un dato, questo, che coincide con il traguardo posto dalla UE per il 2020”. Non tutte le regioni, però, sono in linea nel raggiungimento di questo obiettivo. Lo studio registra infatti una situazione in cui l’Italia si presenta piuttosto frammentata:
- Solo 4 regioni si attestano sotto la soglia del 10%: Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Umbria e Abruzzo;
- Due regioni superano la soglia del 20%, avvicinandosi al 25%: si tratta di Sardegna e Sicilia;
- Tutte le altre regioni, ad esclusione di Valle d’Aosta, Campania, Puglia e Calabria, rientrano nei limiti della media italiana.
Il problema, tuttavia, continua a porsi. Infatti, accanto all’esercito (numericamente in calo) dei dispersi “espliciti” si pone quello degli “impliciti”.
Problema antico
Gli elementi che contribuiscono alla dispersione scolastica complessiva, quindi esplicita e implicita, cominciano a manifestarsi già nel ciclo di studi primario. Il raggiungimento di livelli di preparazione inadeguati rappresenta, infatti, una delle cause più importanti della dispersione scolastica.
“Risulta allora fondamentale – suggerisce Ricci – monitorare il fenomeno fin dalle sue prime manifestazioni. A tal proposito, le criticità evidenziate dalle prove INVALSI svolte nei gradi scolastici inclusi nel primo ciclo di istruzione potrebbero costituire una diagnosi molto precoce della dispersione scolastica e quindi consentire azioni preventive molto efficaci”.
Quanti sono gli allievi in difficoltà al termine della III secondaria di primo grado, relativamente alla conoscenza di italiano, matematica e lingua inglese?
- Le percentuali più basse si registrano in Provincia Autonoma di Trento (6,3%), Friuli Venezia Giulia (6,6%) e Valle d’Aosta (7,2%).
- Le percentuali più alte in Calabria (29,6%), Sicilia (27,9%) e Campania (25%).
- Tulle le altre regioni, ad eccezione di Veneto (8,1%), Lombardia, Prov. Aut. Bolzano e Marche (tutte e tre 8,3%), superano il 10%.
“I dati non lasciano grandi margini al dubbio” – commenta Ricci nel report. “Già al termine della scuola media la quota di allievi in grossa difficoltà è tutt’altro che trascurabile e tale dato sfugge quasi totalmente alle statistiche ufficiali tradizionali. In alcune regioni del Paese, oltre un allievo su quattro termina la scuola media con livelli di competenza di base del tutto inadeguati, creando così le premesse del fenomeno della dispersione scolastica”.
Soluzioni possibili
“È del tutto evidente – conclude Ricci – che un’azione tempestiva di aiuto per questi giovani potrebbe nel giro di pochi anni ridurre sensibilmente i livelli della dispersione scolastica tempestiva”. E, in questo senso, le rilevazioni Invalsi offrono un supporto non di poco conto. ““La descrizione dei livelli delle competenze raggiunte dagli studenti offre ai docenti la possibilità di riflettere su quali sono le prestazioni attese e dunque a identificare le modalità ritenute da loro più opportune per promuoverne l’acquisizione. Le prove INVALSI, in questo senso, offrono dati ed elaborazioni utili ad avviare processi riflessivi da parte dei professori”.
Tutto questo rappresenta un primo tentativo di studio del fenomeno che deve essere analizzato da diverse angolazioni. E in questo senso, “i dati INVALSI possono contribuire a mettere in luce dimensioni del problema che finora non erano mai state quantificate. Ora questa possibilità è a disposizione di tutti”.