di Pierfranco Bruni
MILANO ascolta la Lectio di Pierfranco Bruni
Da Leonardo a Raffaello un viaggio nel chiaro e nelle ombre del Rinascimento grazie anche al racconto nelle storie di vita degli artisti che ha lasciato il Vasari. Infatti nella “Vita di Raffaello Sanzio”, in G. Vasari, Vite di pittori, scultori e architettori, Firenze 1568, si legge: “Quanto largo e benigno si dimostri talora il Cielo nell’accumulare una persona sola l’infinite ricchezze de’ suoi tesori e tutte quelle grazie e più rari doni che in lungo spazio di tempo suol compartire fra molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Raffael Sanzio da Urbino; il quale fu dalla natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole alcuna volta vedersi in coloro che più degl’altri hanno a una certa umanità di natura gentile aggiunto un ornamento bellissimo d’una graziata affabilità, che sempre suol mostrarsi dolce e piacevole con ogni sorte di persone et in qualunque maniera di cose”.
Su queste sfaccettature mi soffermeró sabato a Milano parlando di Leonardo e lo sguardo.
Cosa è stato il Rinascimento tra Raffaello e Leonardo? Mai domanda più complessa mi è stata posta. Credo che dopo Dante Alighieri, soltanto Leonardo e Raffaello abbiano dato una metafisica alla identità della cultura itala liana. Una metafisica che significa, nel modo michelangiolesco, teologia e mistero in un intreccio non solo con il pensiero e l’arte ma soprattutto con l’idea vivificante di un Occidente che resta centrale nelle eredità bizantine e Orientali. Se Raffaello rinsalda la tradizione rinascimentale, che Leonardo aveva confermato, apre, nel contempo, lo specchio dello sguardo alla modernità degli orizzonti pittorici. Giotto non c’è più. Era nato ad Urbino il 6 aprile del 1483 e morto a Roma il 6 aprile del 1520. Al Pantheon di Roma sulla sua tomba è scritto: “Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta; ma ora che è morto teme di morire”. A dettare l’epitaffio fu Pietro Bembo.
La religiosità non è solo cristiana. Sfida e rischia sul quadrante delle arti la rivoluzione di una sensualità che diventa metafisica della inavvertibilitá. La devozione e la purezza degli occhi delle donne. I fanciulli tra le mani delle donne. Il gioco a specchio delle figure. Un maestro.
Raffaello Sanzio. 500 anni dalla scomparsa il 2020. Il maestro che supera completamente la soggezione medievale del volto degli occhi della bocca. La donna ridiventa oltre che metafora orfica e visione metafisica femmina con una sensualità potente.
Lo svelamento dello sguardo è la profondità di un onirico senso greco. Le donne madonne femmine sono nei suoi 6 sonetti che esprimono una forza inevitabilmente ancestrale in cui il mito è racconto poetico dei volti. Il segreto è nelle sue parole. Crea immaginario. Celio Calcagnini disse dell’opera di Raffaello: “Tanti grandi antichi e tanta lunga età occorsero alla costruzione di Roma; tanti nemici e secoli occorsero a distruggerla. Ora Raffaello cerca e ritrova Roma in Roma: cercare è di un uomo grande, ma ritrovare è di Dio”.
Raffaello annotava:
“Tanto ardo, che ne mar ne fiumi spegner potrian quel foco; ma non mi spiace, perché il mio ardor tanto di ben mi fece, che ardendo ogni ora più d’arder me consumi”.
Un dato che va oltre la pittura stessa. Si inserisce nel pensiero donna sensualità natura di Raffaello.
Così ancora:
“Quanto fu dolce il giogo e la catena delle tue candide braccia al collo mio volti, che sciogliendomi, io sento mortal pena”.
Si inizia un viaggio tra le pagine del sublime di Raffallo. Le immagini di donne hanno una religiosità profonda ma anche un superamento completo dell’angelico risvolto stilnovista.
Fino a fargli scrivere:
“Fallace pensiero, che in ricercar ti affanni di dare in preda il cor per più tua pace, non vedi tu gli effetti aspri e tenaci di colui che ne usurpa i più belli anni?”.
Amare l’amore per Raffaello é creare una vanità al volto e al portamento della donna. La sua vita sarà fatta di misteri. Un artista che ha rivoluzionato non solo la pittura ma il modo di concepire e di vivere l’arte in una pacatezza oltre l’ontologico. W. Goethe disse che “Raffaello è sempre riuscito a fare quello che gli altri vagheggiavano di fare”. La perfezione è stata la sua metafisica, in cui l’artista si amalgama con l’uomo e l’uomo superando i doni del destini, diventa immortale artista. Raffaello nei volti i dettagli fanno il tutto.