Principale Arte, Cultura & Società Pierfranco Bruni in un romanzo di colloqui con la solitudine: “Sul davanzale...

Pierfranco Bruni in un romanzo di colloqui con la solitudine: “Sul davanzale delle parole”

Annarita Miglietta *

“La bicicletta di mio padre” nel 2011, i “Cinque fratelli” nel 2016 ed ora, alle soglie del primo ventennio del nuovo Millennio, “Sul davanzale delle parole”  (Pellegrini editore): tre titoli così diversi, legati da un tema centrale, quello del ricordo che si fa memoria, del racconto autobiografico scritto attraverso le sensazioni, le emozioni, le divagazioni dell’anima.
L’autore, Pierfranco Bruni, romanziere, poeta e saggista pronuncia le parole come se stesse “sul loro davanzale non cercando di catturarle perché arrivano da sole come vento, pioggia improvvisa, diluvio di immagini.” (p. 7). Ed i ricordi – raccontati come dirà verso la fine del romanzo, proprio “sul davanzale delle parole” (p. 71) –  fluiscono, in un periodare lento, composto, tra le parole che “aiutano a capire, a scoprire” (p. 8) e si affastellano in una scrittura che nel corso del tempo “è mutata, come il luogo del pensare la scrittura ed i [suoi] stessi pensieri”(p.7).
Qui, infatti, le figure dei famigliari, il padre, la madre, e dei luoghi, il paese, la grande casa (diventata la casa museo, “intoccabile”, in cui Bruni ha scoperto  “il vivere in armonia con me stesso” (p. 12)) vengono narrati, ri-vissuti – rispetto agli altri due precedenti romanzi – attraverso  un nuovo punto di vista, quello dell’età matura, di quell’uomo che ormai porta in sé “la saggezza di un uomo che ha vissuto le vite che gli sono appartenute”. 
Le stanze, il giardino, la palma si antropomorfizzano, diventano partecipi confidenti e seguono il complesso avvicendarsi degli stati d’animo di chi li abita e li fruisce, e fa un tutt’uno con essi.
La solitudine favorisce il colloquio interiore dell’anima attraverso le parole del cuore, nel silenzio delle stanze che diventano cassa armonica dell’intima riflessione dell’autore.
Tra le belle pagine di meditazione laicamente mistica, la progressione tematica avanza in un continuo intrecciarsi di conversazioni sentimentali, dialoghi con il lettore e ricordi del padre-capitano, dalla grande anima e della madre-curandera, la passionaria di casa.
L’autore, Pierfranco Bruni,  “apprendista capitano” e “apprendista sciamano”, delinea le figure dei genitori, ora intenti nelle loro occupazioni, ora nel ruolo fondamentale di scrupolosi e saggi educatori, “fari” li definisce, che con esempi, illuminati consigli e suggerimenti, lo hanno aiutato ad affrontare gli inestricabili meandri, ma allo stesso tempo affascinanti, di quel fiume imprevedibile che è la vita.
Tra le pagine del libro affiora la malinconica nostalgia mista a desiderio di un contatto non solo dell’anima, ma del gesto genitoriale, nell’angoscia di un viaggio profondo, in cui domina la disarmonia: “il senso del tempo è disarmonia nella memoria” (p. 72).
La dimensione sentimentale, fortemente intima, dà al testo una valenza potentemente nostalgica, propria di chi costretto a viaggiare, sradicato dal suo suolo natio, quasi strappato dai suoi affetti più cari, come per una forza uguale e contraria, se ne sente sempre più attratto ed abbarbicato, con le radici del ricordo, della riflessione pacata, tutta ripiegata su se stessa.
La forza dell’autore risiede nella capacità di non arrendersi, non darsi per vinto, sorretto dall’amore di quella famiglia, di quei genitori che continuano a dialogare con lui, a vivere nel suo cammino, nel suo continuo peregrinare. Vengono in soccorso a Bruni, immerso nei misteri della vita e della coscienza, due figure che spesso s’incontrano nella sua produzione, in versi ed in prosa:  la curandera, “la donna vestita di azzurro” (p. 15) e  lo sciamano che col suo canto “abita la vita che vive” (p. 15).
E così, nella saggezza di chi con determinazione vive il tempo, viaggiando all’interno della sua anima, e vivendo la morte, non solo assistiamo ad un sovvertimento del concetto freudiano di elaborazione del lutto, ma siamo portati anche a riflettere sul significato delle scelte e degli errori, sul senso del tempo, sulla differenza semantica tra distacco e distanza dai genitori, ora “ombre danzanti” (p. 76).
Un percorso denso, profondo in pagine di un libro che, come scrive Bruni nell’ultimo capitolo, “mi ha posto davanti allo specchio dell’anima, che mi ha permesso di scoprire quei dettagli che pensavo fossero ormai inesistenti, inascoltati, dimenticati, smarriti” (p. 109).

Docente Linguista Unisalento

 

LASCIA UNA RISPOSTA

Inserisci il tuo commento, grazie!
Inserisci il tuo nome qui, grazie

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.