Principale Estero La giustizia di Trump: nemici licenziati, amici graziati

La giustizia di Trump: nemici licenziati, amici graziati

Department of Defense senior leaders attend the 9/11 Observance Ceremony at the Pentagon in Washington, D.C., Sept. 11, 2017. During the Sept. 11, 2001, attacks, 184 people were killed at the Pentagon. (DOD photo by Navy Petty Officer 1st Class Dominique A. Pineiro)

di Domenico Maceri

La recente assoluzione di Donald Trump dal Senato americano nel caso dell’impeachment è stata utile perché ha reso facile “mettere alla luce del sole quelli che bisognava licenziare”. Così Donald Trump, non il presidente, ma il figlio maggiore, mentre cercava di spiegare gli individui che il padre ha licenziato di questi giorni. Donald Jr. è incaricato di gestire l’azienda del padre ma spesso commenta situazioni politiche per supportare il padre ma si crede anche che si stia preparando anche lui a una futura entrata in politica.

Trump dopo la sua “vittoria” in Senato, grazie ai repubblicani che hanno votato compatti per assolverlo dall’impeachment approvato in precedenza dalla Camera, ha iniziato la sua “purga” colpendo quelli che secondo lui lo avevano tradito. In particolare si è concentrato su parecchi individui vicini a lui che hanno testimoniato nelle inchieste dirette da alcune commissioni alla Camera, confermando il quid pro quo con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Questa conversazione ha scatenato l’inchiesta che ha portato al voto di impeachment alla Camera. Il colonnello Alexander Vindman, funzionario del Consiglio di Sicurezza alla Casa Bianca, aveva testimoniato contraddicendo il suo capo il quale lo ha bollato di traditore. Trump lo aveva attaccato accusandolo di mentire. C’è solo un piccolo problema. Vindman ha testimoniato sotto giuramento contro il suo capo, dimostrando una fortissima dosi di coraggio, mentre Trump “testimonia” con i suoi tweet senza dare prove per le sue accuse. Pochi giorni dopo l’assoluzione del Senato, Trump ha licenziato Vindman ma anche il fratello Yevgeny, anche lui in servizio alla Casa Bianca. Il fratello non aveva testimoniato ma la parentela lo avrà reso sospetto al 45esimo presidente. Un altro “traditore” per Trump è stato Gordon Sondland, il quale, per avere contribuito un milione di dollari alla Commissione di insediamento di Trump, era stato “ricompensato” con la nomina di ambasciatore all’Unione Europea. Sondland aveva anche lui testimoniato alla Camera confermando il quid pro quo fra Trump e Zelensky e esattamente come Vindman è stato licenziato dall’attuale inquilino della Casa Bianca.

Trump continua a dimostrare che il talento e le capacità professionali dei suoi collaboratori importano poco, optando invece per l’estrema fedeltà di chi gli sta intorno. Vuole assolutamente scegliere i suoi collaboratori senza nessun paletto e ha dimostrato estremi sospetti sul cosiddetto “deep state”, cioè a dire i funzionari di carriera nel governo che fanno il loro lavoro in maniera indipendente a prescindere di chi sia il presidente. Cinquanta funzionari del Consiglio di Sicurezza sono stati trasferiti in altri dipartimenti, allontanandoli dalla cerchia di quelli che possono sentire e “spiare” l’inquilino della Casa Bianca.

Trump è sempre più diffidente ed ha infatti dichiarato in un’intervista che in futuro ridurrà il personale che ascolta le sue conversazioni con leader di altre nazioni per evitare il guaio che gli è successo con Zelensky. Non capisce però che la conoscenza di quello che lui discute non è solo per i suoi bisogni ma si tratta degli interessi nazionali e quindi deve fare uso degli esperti e prendere in considerazione i loro consigli. Mantenendo sempre più segreti ci fa capire che Trump vuole operare senza essere osservato ed eventualmente giudicato. Si tratta di una grande insicurezza riflessa anche nel suo forte bisogno di ampliare il suo potere per punire e ricompensare i suoi fedeli collaboratori. In questa direzione il Dipartimento di Giustizia gli sta servendo per spingere i tribunali a scagionare o andare leggero su individui come Roger Stone, suo ex collaboratore. Va ricordato che Stone era stato condannato da un tribunale ma proprio di questi giorni quattro dei procuratori nel caso si sono dimessi per la direttiva di Bill Barr, Procuratore Generale, di alterare la richiesta di pena per Stone considerandola eccessiva. Una richiesta mai udita. La mossa di Barr, grande servitore di Trump ma non della Costituzione americana, ha scatenato una ribellione fra ex funzionari della giustizia, 2mila dei quali, hanno chiesto le dimissioni di Barr. Inoltre la Federal Judge Association, gruppo indipendente di giudici, ha annunciato una riunione di emergenza per discutere gli interventi e le pressioni irregolari di Trump sui processi in corso. Nonostante queste pressioni la giudice Amy Berman Jackson ha condannato Stone a tre anni di carcere dichiarando che “i fatti sono importanti”, stoccata diretta a Trump e le sue evidenti falsità. Non sorprenderebbe una grazia per Stone per dimostrare che l’inquilino della Casa Bianca sia il vero “capo” negli Stati Uniti anche nel sistema giudiziario.

Trump però sembra ignorare questi tentativi di paletti che dovrebbero porre limiti ai suoi poteri esecutivi. Dopo l’assoluzione al Senato sta dando l’impressione di avere potere assoluto. Sta esagerando poiché sembra che anche Barr non ne possa più. Il procuratore generale in un’intervista ha dichiarato che tutti questi tweet sul suo ministero gli rendono la vita difficile e non può svolgere i suoi compiti. Si riferiva a Trump anche senza nominarlo. Da parte sua l’inquilino della Casa Bianca ha dichiarato che non intende fermarsi e vuole anche che il Dipartimento di Giustizia apra un’inchiesta su James Comey e la Fbi per ritornare sul Russiagate, cercando di riscrivere la storia in modo a lui piacevole. Trump non ha mai digerito l’idea di avere vinto l’elezione con l’aiuto dei russi come ci ha spiegato il rapporto di Robert Mueller, che il presidente vorrebbe anche sia investigato.

Alcuni analisti hanno rilevato che l’insoddisfazione di Barr con Trump consiste di una sceneggiata per creare l’illusione dell’indipendenza della giustizia dal potere esecutivo. Forse. Nel frattempo Trump continua a mandare segnali che i suoi poteri sono immensi e senza limiti. In una recente intervista ha infatti dichiarato di essere “l’ufficiale numero uno nell’applicazione della legge”, titolo che spetta infatti al procuratore generale Barr. Per reiterarlo, l’inquilino della Casa Bianca ha recentemente concesso la grazia a una dozzina di criminali, alcuni notissimi, altri meno, quasi tutti condannati di frode e corruzione. Il messaggio di Trump sembra essere quello di mostrare la fedeltà che lui riconoscerà con i suoi poteri ampliati dall’assoluzione al Senato. Trump non è il solo ad essere al di sopra della legge. I suoi amici lo saranno anche mentre quelli che intendono andargli contro possono aspettarsi le mazzate del leader “della legge” americana.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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