Principale Arte, Cultura & Società Recensione: Storia di un matrimonio di Noah Baumbach

Recensione: Storia di un matrimonio di Noah Baumbach

Storia di un matrimonio di Noah Baumbach (2019), conserva, nella sua trama, alcuni punti fissi che vanno seguiti e ricompresi singolarmente; se così non fosse, ci troveremmo davanti a un’operazione fin troppo scontata, fatta per tradurre le due ore e diciasette minuti di proiezione, in una moderna rivisitazione di Kramer contro Kramer.

Il primo segno è la lettera.

L’analista di coppia, consiglia ad entrambi gli ormai ex-coniugi, di descrivere cosa li tenne insieme, perché si possano avere dei fondamenti su cui ricostruire qualcosa. Il tentativo naufraga (come si intuiva) rozzamente e miseramente.

Eppure la lettera non scompare, anzi, resta in sottofondo, quasi fosse la vera soundtrack del film.

La si ritroverà alla fine, non si sa perché e per come, tra le mani del figlio della coppia, ormai unico depositario di ciò che un tempo era vivo. La legge con le incertezze di un bambino di otto anni. Le stesse con le quali presero a scriverla i due adulti, in capo alla loro crisi.

Il secondo segno è il taglierino.

Sempre il figlio, nella sua spontaneità, dichiara alla consulente designata del giudice, che il padre riesce a fare un piccolo giochetto con il coltellino attaccato assieme alle chiavi di casa.

Per evitare la sua candidatura a genitore irresponsabile, è costretto a mostrare il gioco, ma la foga e la tensione, fanno sì che la lama non si ritragga del tutto, ferendo davvero Charlie. Escamotage che serve al regista per dire che quello che un tempo era univoco, non può non essere diventato ambiguo.

E da ciò, con tutta la buona volontà, non se ne viene mai fuori, integri e puliti.

Il terzo segno, chiave di volta del soggetto, è la canzone di Stephen Sondheim, “Being Alive”, da qui il film, che si è impegnato nell’ostendere, più volte, quanti e quali siano i culmini della disperazione, si apre ad un senso:

“Somebody let me come through/I’ll always be there/As frightened as you/To help us survive”.

Una parte di noi stessi, la conosciamo attraverso l’incomprensibilità di ciò che ci viene contro e dal dolore che esso può produrre.

Qui, forse, c’è la parte più vera e profonda del nostro essere. Il senso del viaggio.

La prova intangibile del nostro essere vivi.

Per questo lo spettatore non può schierarsi.

Non può prendere parte delle ragioni di Nicole o di Charlie. Visto che ognuno è in entrambi.

Ora ci sono solo schegge di un amore esploso.

E, chiunque può chinarsi a raccoglierle per farne quello che crede meglio.

 

Luca Anaclerio

 

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