A colpi di decreti del presidente del Consiglio il governo sta cercando di arginare il contagio da Coronavirus, con risultati che solo al termine dell’epidemia potranno essere valutati. E tuttavia il massiccio ricorso ai Dpcm solleva la questione del ruolo del Parlamento come supremo organo legislativo, delle sue prerogative e dei rischi connessi all’accentramento di questo potere di intervento nelle mani del solo presidente del Consiglio. Un tema sul quale si interroga la politica, certo. Ma anche i Costituzionalisti, tanto che agli stress test sanitari ed economici, il Coronavirus potrebbe imporne un terzo, riguardante le istituzioni e più in generale il sistema democratico.
Il Parlamento continui a lavorare
Sul ricorso ai Dpcm, il costituzionalista Cesare Mirabelli, presidente della Corte Costituzionale dal febbraio al novembre del 2000, spiega all’AGI che “l’esigenza forte è di esercitare il potere di controllo e di indirizzo del Parlamento, e che le Camere non immaginino di non riunirsi: non esiste una quarantena delle istituzioni”. Anzi, è proprio il Parlamento che deve esercitare con più forza e attenzione il suo ruolo di controllo: “Il ruolo di controllo del Parlamento – ma anche del Presidente della Repubblica – in un momento come questo deve essere ancor più forte”. Insomma, non preoccupa tanto il fatto che ci siano delle limitazioni alla libertà di circolazione per esigenze di sicurezza o sanitarie, casi previsti dalla Costituzione, quanto che il ricorso a queste limitazioni possano diventare un’abitudine:
“La nostra Carta prevede anche che” queste limitazioni siano previste “per legge e per un tempo determinato”, sottolinea Mirabelli. Inoltre, aggiunge, “occorre valutare se questi provvedimenti sono adeguati, se è legittima la fonte, Decreto del Presidente del Consiglio o legge che comunque lo autorizzi, e bisogna che si tratti di provvedimenti che prevedano tempi determinati di applicazione”.
Il ricorso ai Dpcm rende incerti i diritti
Francesco Clementi, docente di diritto pubblico comparato all’università di Perugia, richiama l’attenzione sul fatto che in emergenza anche la forma è sostanza: “Considero la scelta di affidarsi al Dpcm, pur coperti dai primi decreti legge, un punto di debolezza, non di forza” afferma Clementi, che indica tre ragioni: “In primo luogo, perchè, in una disciplina dell’emergenza diffusa, elastica e non costituzionalizzata come l’abbiamo noi, usare i Dpcm rende incerti i nostri diritti costituzionali, posto che è un tipo di fonte di rango secondario che non passa nè il vaglio del Parlamento nè quello del Capo dello Stato”.
In secondo luogo, perché “favorisce ed alimenta nei fatti, in assenza di disposizioni precise e puntuali coperte dal rango ordinario, pure più regimi di emergenza sul territorio, con tutti i disallineamenti e le interpretazioni che ogni Presidente di Regione si sente in dovere, oltre che in diritto, di adottare; determinando un’ulteriore forte marginalizzazione del Parlamento”. Infine, “ultimo ma non ultimo, perché i decreti legge consentono pure, in sede di conversione, di recuperare i problemi rimasti aperti coi dpcm”. Insomma, conclude Clementi “in emergenza, i decreti-legge – da adottare, se necessario, anche in un numero straordinario – sono la soluzione, non il problema. Perché in emergenza, la forma è due volte sostanza”.
Attenti al precedente
Anche per Michele Ainis, giurista costituzionalista e componente dell’Autorità garante della Consorrenza e del Mercato, “è evidente che il ricorso massiccio ai Dpcm come strumento normativo “qualche problema lo crea perché il Dpcm è un atto di normazione secondaria, non è un atto che ha la stessa forza della legge. Ha un collegamento con il decreto, è figlio del decreto del 6 febbraio 2020, pero’ ha una forza normativa debole, troppo debole per incidere su libertà costituzionali come quella di movimento, di riunione, di libertà di culto. Tutte libertà protette dalla riserva di legge della costituzione”.
I rischi connessi al massiccio ricorso al decreto del presidente del Consiglio come atto normativo è che questo ricorso “possa diventare un precedente”, aggiunge Ainis: “Lo sfondo generale è la necessità di bilanciare tutela della salute e diritti democratici. Questo è complicato con una emergenza di questa portata ma, a maggior ragione, non può essere un precedente e quando questa emergenza finirà non si potrà perpetrare questo metodo. In questa fase il Dpcm è un atto più snello e rapido. Il decreto è un atto collegiale, il decreto del presidente del Consiglio è un atto individuale”, aggiunge il costituzionalista.
Tracciare e isolare
Nelle ultime ore, una nuova ipotesi di intervento interroga i costituzionalisti: l’idea di utilizzare i dati telefonici e le applicazione sugli smartphone per tracciare gli spostamenti e i dati biometrici di chi li usa apre un grave problema connesso al diritto individuale alla riservatezza: “Questa idea mette in ballo un ulteriore diritto, quello alla privacy, che non ha un richiamo diritto alla Costituzione ma di cui la Consulta ha parlato più volte”, spiega Ainis. “In questo modo anche la riservatezza finirebbe per essere sacrificata. Ma tutto questo può andare bene se c’è un inizio o una fine”.
E anche Mirabelli si mostra preoccupato dalle implicazioni costituzionali di una eventuale introduzione degli smartphone nel tracciare, testare e isolare i contagiati o chi è stato a contatto con uno di essi: “Tutto questo va meditato e disciplinato con legge, considerando le garanzie per la riservatezza da una parte, ma anche come vanno gestiti i dati e come rimuovere la tracciabilità. Altrimenti andiamo verso un sistema da Grande Fratello orwelliano”, sottolinea Mirabelli.
E se i sostenitori di questi strumenti di controllo citano esperienze di altri Paesi, Mirabelli ricorda che in molte delle realtà in cui essi vengono adottati, “c’è l’esigenza di contrastare il terrorismo”, come in Israele. “Attenzione, quindi, a contesti che possono farci scivolare verso l’autoritarismo”. Meglio, dunque, guardare a Paesi che fanno leva sulla responsabilizzazione del cittadino, con una più lunga tradizione democratica: “In Gran Bretagna, che da noi viene valutata negativamente per non aver fatto ricorso a misure di restrizione drastiche, ai cittadini viene chiesto e non imposto di rimanere in casa. Mi chiedo se in quelle realtà non ci sia, per caso, maggiore sensibilità e rispetto della Costituzione”.