Dal 5 marzo tutte le scuole italiane sono chiuse, i dati sui contagi rendono chiaro che la riapertura non avverrà a breve. Siamo passati dalle lavagne al web, facendo venire fuori un grande problema: la scuola italiana non era ancora pronta alla digitalizzazione. Il risultato? Una didattica a macchia di leopardo.
Compiti online, e-learning, video, con il Coronavirus nasce la c.d. ‘scuola 2.0’, ma eravamo davvero pronti? Secondo l’ultimo rapporto DESI (Indice di digitalizzazione dell’economia e della società 2019), strumento adottato dalla Commissione Europea per monitorare la competitività digitale degli Stati membri, l’Italia è al 24esimo posto su 28 stati dell’UE. Tra le debolezze si registrano problemi di connettività e la mancanza di servizi pubblici digitali: 3 persone su 10 non utilizzano Internet abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base.
Queste problematiche mettono la scuola italiana a dura prova: stare al passo degli altri Stati membri non è facile, ma diventa quasi impossibile quando si chiede al nostro sistema di raggiungere livelli adeguati ‘qui ed ora’. Introdurre in pochi giorni software e programmi solitamente non utilizzati per sopperire all’impossibilità della didattica frontale (tanto cara alla scuola italiana), e formare al loro utilizzo non solo gli studenti ma gli insegnanti stessi, diventa la sfida delle sfide.
La didattica a distanza, in troppi casi si sta concretizzando nella sola assegnazione di compiti senza alcun tipo di spiegazione o correzione. “[…] L’attività della didattica a distanza non può limitarsi a replicare contenuti e modalità di una situazione di normalità”, denunciano i sindacati FLC CGIL, CISL FSUR, UIL Scuola RUA, SNALS Confsa, FILDA Unams in un comunicato congiunto in cui chiedono il ritiro della nota prot.388 contenuta nel decreto Cura Italia (“Emergenza sanitaria di nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività di didattica a distanza”).
Nonostante i tentativi del Governo (e non solo), la strada è ancora lunga. L’innovazione digitale e l’informatizzazione della scuola non sono processi attuabili in pochi giorni, ma il risultato di un percorso di continuo aggiornamento. Dovevamo già essere pronti, non si può recuperare in pochi giorni il tempo perduto.
Questi ritardi fanno venire alla luce una serie di disuguaglianze di tipo geografiche, sociali e culturali come illustrato nell’ultimo rapporto ‘Educare digitale’ redatto dall’AGCOM. Il territorio italiano manca di una rete di connettività omogenea, le scuole non hanno la stessa dotazione strumentale, docenti, studenti e famiglie non sono ugualmente formati. Qual è il risultato? Se alcuni riescono a stare al passo con i programmi, altri, al 23 marzo non riescono ancora a capire come accedere alla piattaforma messa a disposizione dalla propria scuola (spesso in ritardo) o non possiedono un tablet o un pc per farlo.
Queste differenze sono preoccupanti in un Paese in cui si cerca di perseguire l’uguaglianza sostanziale, ma che diventa difficile se si pretende di fare un salto tecnologico così ampio senza paracadute.
Di Sara Carullo