di Antonio Vox
La tragica disavventura del Covid 19 ha colto l’Italia in uno scenario di crisi dal quale il Bel Paese non riesce ad affrancarsi.
È a tutti chiaro che il Sistema Italia ha bisogno di grandi e imprevedibili iniezioni di liquidità che possano consentire, prima di tutto, di far fronte alla guerra in atto al Corona Virus;
poi, che possa sostenere la fame di soldi della popolazione costretta a non lavorare e a non creare reddito;
infine, e soprattutto, che possa limitare i danni di una gravissima prevedibile recessione involutiva della economia italiana che sarà incapace di frenare il drastico ridimensionamento del PIL: un ridimensionamento che il Centro Studi della Confindustria ha calcolato essere del 10% già nel primo semestre del 2020.
Quest’ultimo dato significa che, nell’anno in corso, la raccolta fiscale del Paese sarà insufficiente per rispondere alle necessità del Paese e costringerà l’Italia a ricorrere ad un ulteriore debito.
In questo marasma, nella caotica situazione emergenziale, nella confusa ridda di ipotesi, l’unica certezza è che si debba fare debito, e subito, urgentemente.
A questa certezza si affianca la consapevolezza che l’Italia ha grandi difficoltà a ricorrere ai mercati finanziari per una cronica carenza di credibilità, strettamente collegata alla sua nota incapacità strutturale di procedere, con tenacia e convinzioni, verso profonde riforme rigeneratrici e alla sua nota inettitudine nel calmare la inclinazione alla spesa allegra della politica italiana che è abile, nel mostrare questa spesa, sistematicamente e ipocritamente, come concreti e reali investimenti.
Si affianca, anche, anche la consapevolezza che, in questa Europa, la gestione del debito nazionale resta ai singoli Stati: tema ossessivamente ripetuto, da leader e portavoce europei, per chi volesse furbescamente dimenticarlo.
Il problema, quindi, ora, non è tanto come spendere (peraltro, tema cruciale per disegnare un futuro, insidiato dal richiamato noto vizio italiano dell’allegra e inconsulta spesa e vanificato da mancanza cronica di progettualità) ma è come approvvigionarsi di risorse finanziarie, senza morire.
La strada è disseminata di minacciosi pericoli perché il rischio è quello di svendere il Paese.
Non ci vuole la sfera di cristallo per capire che è alto il rischio di una patrimoniale che metterebbe in ginocchio, distruggendolo, non solo il tessuto del Sistema Italia (Imprese, Banche, Assicurazioni, Partite Iva) ma anche il risparmio degli italiani, vera àncora del Paese.
D’altro canto, sembra che in Europa si stia diffondendo la consapevolezza che i metodi usati per la Grecia, con l’unico obiettivo di recuperare, in sicurezza, il prestito concesso senza badare nemmeno ad un barlume di ricostruzione e crescita, non siano i più idonei e opportuni, perché creano ostilità verso l’Europa di oggi e impediscono la nascita di una nuova Europa solidale e federata.
È anche chiaro a tutti, certamente a chi abbia un minimo di consapevolezza di sistemi complessi, come non sia sufficiente un semplice e unico intervento ma sia, invece, ineludibile ricorrere ad un “complesso di interventi” fattibili, equilibrati, integrati.
È un bel problema!
Con il dubbio non peregrino, poi, che questo governo non sia all’altezza della situazione.
Per ora il governo guarda, come d’abitudine e con la speranza che la mamma gli risolva i problemi, all’Unione Europea come unica soluzione; l’unica che può “garantire” l’accesso italiano ai mercati finanziari.
È in atto, infatti, un braccio di ferro, in Europa, dove l’Italia si è mostrata, solo perché in un vicolo cieco, determinata e ostinata nel sostenere le proprie proposte (Bocciatura del MES nelle sue rigide condizionalità – Emissione di Euro Bond).
Vedremo nei prossimi giorni come andrà a finire: appaiono, tuttavia, timidi segnali che l’opposizione di Olanda e Germania si stia affievolendo; solo perché la Germania non si può permettere di “distruggere l’euro” che tanti benefici le ha procurato e le procura.
Nel frattempo, cominciano a moltiplicarsi, provenienti da vari economisti, idee/soluzioni che hanno la caratteristica di fattibilità, equilibrio, integrazione, in “chiave liberale”.
Il processo logico usato, come dovrebbe sempre accadere, è quello che parte dai “punti di forza del Paese”.
Fra questi, ritroviamo quello del risparmio privato, che, secondo Bankitalia, già nel 2018, ammontava a € 4.244 mld (tendenzialmente azioni obbligazioni, immobili) di cui, addirittura, ben € 1.379 mld (più del PIL della Spagna) è depositato su conti bancari: un patrimonio tenuto lì, fermo, proprio per la sfiducia di trovare tranquille aree d’investimento, lentamente eroso da tassi di interesse quasi negativi e irritanti costi di gestione.
Con queste infelici premesse, quale potrebbe essere un Progetto per l’Italia nella sua affannosa ricerca di prestiti?
Scorriamo il “complesso d’interventi” nella ipotesi progettuale.
- Bocciare definitivamente il MES, in relazione alle sue stringenti condizionalità, per trasformarlo in un fondo a disposizione di interventi emergenziali per Paesi in difficoltà.
L’Italia ha versato circa € 63 mld e ha fornito garanzie per oltre € 120 mld.
Soldi e garanzie che ritornerebbero nella disponibilità di tutti i Paesi dell’Europa nel periodo della pandemia.
Il MES, nella formulazione attuale, è stato ideato per salvare gli Stati membri, e, oggi, soccorrerebbe anche le banche soprattutto quelle, dette “di sistema”, che hanno iscritto, nella propria contabilità, grandi quantità di “titoli derivati”, come la Deutsche Bank.
Questi “titoli derivati” sono caratterizzati da un altissimo tasso di rischio.
Le Banche che li posseggono in maniera non equilibrata sono “bombe ad orologeria”.
Il MES, così come articolato, è del tutto inadeguato in questo periodo emergenziale perché l’emergenza è globale e non riguarda un singolo Stato.
Il salvataggio degli Stati in difficoltà, pure doveroso, dovrebbe essere regolato da nuovi strumenti innovativi, più efficaci.
- Emissione di Mini Bot per pagare i debiti dello Stato verso i propri fornitori: questi debiti ammontano a circa € 53 mld, secondo le stime del Tesoro.
Ciò equivale a iniettare nel tessuto imprenditoriale una cifra non indifferente.
I Mini Bot dovrebbero servire alle imprese per pagare, esclusivamente, i propri debiti allo Stato italiano; dovrebbero essere a lunghissima scadenza, senza limiti; dovrebbero essere redditizi, intorno all’1% fisso con rendita non tassabile; dovrebbero essere transabili solo fra aziende e in Italia.
La lunghissima scadenza renderebbe il debito statale praticamente inesistente, sia contabilmente che nella sostanza.
La redditività, inoltre, indurrebbe l’impresa a pagare i propri debiti verso lo Stato con la propria liquidità piuttosto che con titoli redditizi.
- Emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza, con rendimenti adeguati e fissi (intorno al 2% fisso), sicuri, garantiti dal patrimonio della Repubblica, “esenti da ogni imposta presente e futura”.
Questa iniziativa favorirebbe la circolazione dei risparmi degli italiani, quelli depositati sui conti bancari e sempre in cerca di investimenti sicuri, perché diventerebbero redditizi.
La formula,” a lunghissima scadenza” eventualmente rinnovabile senza limite, rende quasi ininfluente il peso di questa iniziativa sul debito pubblico; la redditività, alta e inusuale per impieghi sicuri, costituisce attrattiva all’emissione; la formula “esente da ogni imposta presente e futura” è un incentivo al ritorno di capitali esportati e investiti all’estero.
In sostanza si offre, agli italiani, un impiego, sicuro e ben redditizio, per i loro risparmi.
Se, a quanto sopra detto, si aggiungesse la formula “emissione dedicata all’Italia”, si potrebbe diminuire l’incidenza percentuale sul debito pubblico delle “mani estere” che detengono circa il 30%: si mette, così, il Paese al riparo dalle speculazioni e dalle manipolazioni dello spread.
Naturalmente, la possibilità di disinvestire, in qualunque momento e in piena libertà, senza oneri, sarebbe una ulteriore interessantissima caratteristica che induce la sensazione della “certezza” e della “credibilità” tanto care al sistema finanziario internazionale.
- Uso dei fondi messi a disposizione dalla Unione Europea, a completamento delle iniziative, piuttosto che come risorsa o soluzione principale di riferimento; il che, anche per la Unione Europea, accresce il tasso di “credibilità” del Paese.
Come corollario, è un bene svincolarsi dalla interessata tecnocratica burocrazia europea che rende asfittico ogni tentativo di crescita.
La burocrazia, in Italia, in Europa, dovunque, quando si trasforma da efficiente ed efficace servizio a dittatura, è fattore di dispendio di risorse, tempo, energie rubate alla competitività.
- Avvio di una drastica spending review che, sulla complessiva spesa pubblica di circa € 800 mld, si ponga l’obiettivo di un risparmio fra il 5% e il 10%; il che significa importi dai € 40mld a € 80 mld da iniettare nella economia.
- Avvio di una riforma innovativa e strutturale della burocrazia che induca risparmi di tempo, risorse, capitali che oggi gravano in maniera insostenibile sul tessuto produttivo e civile del Paese.
Si liberano quindi imponenti risorse.
Si stima che la percentuale del PIL afferente allo Stato (percettore della raccolta fiscale) sia pari a circa il 60%; mentre, di conseguenza, quella afferente alla economia produttrice di reddito sia di circa il 40%.
Con una bilancia così squilibrata, si prospetta un evidente triste destino anche agli occhi di uno scolaro delle elementari.
Quanto costa la burocrazia?
L’Osservatorio sulla Semplificazione di Assolombarda Confindustria (Milano e Monza Brianza) stima che il peso della burocrazia sul fatturato è pari al 4% per le piccole imprese e 2,1% per le medie.
Con percentuali così alte, si tratta di cifre da capogiro sottratte alla competitività d’impresa.
In termini di tempo, invece, gli adempimenti burocratici “costano” alle piccole e medie imprese, come attività di un collaboratore dedicato, tra i 45 e i 190 giorni. L’esame e il rilascio delle autorizzazioni richiedono da 1 a 5 anni: impressionante.
Le analisi di Confindustria dimostrano che un incremento dell’1% dell’efficienza della PA porterebbe ad un aumento del PIL pro-capite dello 0,9%.
Basti tutto questo per avere consapevolezza delle dimensioni del problema: non si capisce come la politica non sia ancora intervenuta.
La proposta “UN PROGETTO per l’ITALIA: DEBITO, Quale Soluzione?”, quindi, descrive un complesso di iniziative, cui possono aggiungersi altre, coerenti e virtuose che appaiono garantire la messa in sicurezza del risparmio, ridurre la fuga dei capitali verso l’estero favorendone il rientro, porre le basi di una ricostruzione virtuosa liberando il sistema da vincoli artificiali, restituire alla economia il primato sulla finanza chiudendo il processo inverso (la finanza che guida l’economia) origine e dramma della decrescita infelice; restituire un margine di credibilità dell’Italia verso la Unione Europea e i mercati finanziari, in generale.
Tutte queste iniziative, se da un lato non incidono pesantemente sul debito pubblico, dall’altro appaiono restituire quella capacità voglia e entusiasmo di respirare, in senso liberale: una libertà che abbiamo perduto da qualche decennio.
Antonio Vox