Paolo Verri è stato al centro della realizzazione di Matera capitale Europea della cultura 2019.. La ricetta? “Produrre un po’ meno con più attenzione alla qualità”
Produrre un po’ meno, con un po’ più di qualità. Così Paolo Verri, artefice della realizzazione di Matera capitale Europea della cultura 2019, dopo aver ricoperto, tra gli altri, l’incarico di direttore del Salone internazionale del libro di Torino dal 1993 al 1997, guarda alla “Fase 2” della cultura in Italia e parla della necessità di un “Piano strategico” per il settore.
“Quando ora parliamo di cultura – spiega all’AGI – parliamo di un universo molto ampio: andiamo da contenuti che consentono all’Italia di essere famosa nel mondo e attirare gente, penso ai grandi patrimoni museali, ai grandi artisti, fino ad arrivare alla cultura di prossimità, di quartiere. Ecco, secondo me, oggi, innanzitutto non bisogna cedere alla pulsione che ciascuno chieda per sé un pezzettino e ciascuno per sé venga tutelato. E’ il momento invece di vedere la cultura come un grande tutt’uno che nel suo insieme deve servire a fare sperimentazione per il futuro. La cultura, infatti, deve essere quel software che ci deve portare compiutamente nel XXI secolo”.
In pratica, “noi probabilmente non produrremo più un po’ di tutto come prima perché, come in molti altri settori, probabilmente producevamo troppo. Bisognerà, invece, produrre un po’ di meno con un po’ più di qualità, aggregando le persone, perché gli italiani sono spesso straordinariamente bravi nell’individualità ma molto poco bravi nell’organizzazione, nel crescere”.
“Se vogliamo veramente competere a livello globale attraverso la cultura – osserva – non possiamo pensare che ci siano veramente tanti soggetti come c’erano prima e pensare che tutti possano fare tutto quello che hanno in mente. Primo perché tutto quello che hanno in mente non è sempre detto sia di così alta qualità e poi perché se pensiamo che la cultura può essere il traino del sistema Paese, allora questo traino deve essere veramente molto forte e molto organizzato”.
Altro aspetto che, secondo Verri, deve essere rafforzato è una maggiore convergenza tra la parte scientifica e la parte umanistica nell’ambito della cultura: “Noi abbiamo in questo momento espresso a livello nazionale un potenziale molto più basso delle nostre capacità soprattutto in ambito scientifico.
Abbiamo settori come la ricerca, la medicina, la farmaceutica molto forti ed abbiamo donne straordinarie a capo delle grandi istituzioni internazionali sul tema dello studio dell’immensamente grande e dell’immensamente piccolo, dell’aerospazio e dell’intelligenza artificiale: penso, ad esempio, a Rita Cucchiara, una delle massime esperte nel campo dell’intelligenza artificiale, a Samantha Cristoforetti con tutto il cluster dell’aerospaziale. Queste straordinarie capacità sembrano un po’ un elemento laterale del fattore cultura ma, in realtà, sono grappoli di competenza straordinari.
Altri Paesi come il Giappone, come gli Stati Uniti, come la Corea mettono questo aspetto al traino del sistema culturale, mentre noi continuiamo a pensare che la nostra cultura debba essere ancora un’espressione artistica tradizionale, teatrale tradizionale, cinematografica tradizionale”.
“Questi settori – prosegue – devono, invece, diventare trainanti perché mettono insieme due cose che rappresentano la cultura del futuro: una capacità di approfondimento e qualità intellettuale che si basa sulla lettura ed una capacità di espressione che si basa sul digitale. Mentre noi abbiamo tenuto divaricato il sistema culturale tra quello umanistico e quello scientifico, questa divaricazione non esiste più nei fatti. Dobbiamo cogliere questa occasione straordinaria della pandemia che ci ha fatto capire che scienza e umanesimo sono una sola cosa”.
Un nuovo Rinascimento? “Sì, dove però la scienza converge fortemente con la parte umanistica”. E per attuarlo, Paolo Verri, pensa proprio ad un “Piano strategico per la cultura” con “una task force non fatta da esperti ma dagli stessi operatori che condividono quanto stavano facendo già prima dello scoppio della pandemia e cercano di realizzare una strategia comune”. ù
“Il fatto di avere dei paletti come meno risorse e meno tempo – osserva ancora – farà sì che le persone siano messe sotto una tensione, che, io credo, sarà positiva “.
Ma se questa è la cornice per una fase 2 della cultura, Paolo Verri guarda anche agli aspetti più operativi ed immediati: “Con Gabriele Vacis stiamo lavorando sulla riapertura degli spazi teatrali, stiamo cercando di capire rispetto alla fase 2 come fare in modo che i teatri siano dei luoghi dove, magari non ci sono più le sedie, ma c’è la coscienza della collettività. Il teatro è un po’ il simbolo, dall’antica Grecia passando per Shakespeare e Moliere per arrivare al contemporaneo dell’esperienza diretta umana“.
In concreto come potrà essere il teatro post-Covid-19?“ “Immaginiamo di avere rappresentazioni più brevi, in spazi dove ci saranno meno persone, che saranno monitorate, che prenoteranno magari online, ma vogliamo che la gente si riappropri del teatro, mettendolo a disposizione non più per le sole rappresentazioni ma per momenti più lunghi nel corso della giornata. Stiamo cercando di capire con i prefetti, con le Asl, come riaprire operativamente questi spazi di comunità”.
Un progetto di “riapertura” della cultura, che ha anche già una data fissata: il 13 settembre 2021. “E’ il settimo anniversario della morte di Dante. Di solito in Italia si fanno mille manifestazioni, io dico, invece, usiamo questa come data esemplare in cui facciamo un unico grande evento. Costruiamo un grande spettacolo internazionale per far capire che l’Italia, ad un anno di distanza dalla fase 2, non solo ha pensato al suo Sommo poeta ma ha fatto una festa mondiale in cui tutti possono riconoscersi in quello che il Paese sta realizzando. Un’unica manifestazione, una superproduzione che faccia vedere come l’Italia si è ricostruita in nome ed intorno alla figura più prestigiosa della sua cultura”.