Principale Economia L’ABI segue Trione e Varricchio sul debito irredimibile

L’ABI segue Trione e Varricchio sul debito irredimibile

di Riccardo Guglielmi

Dall’idea di due studiosi baresi sull’irredimibilità dei prestiti bancari scaturisce un accordo storico siglato tra l’Associazione Bancaria Italiana e tutte le associazioni datoriali, un accordo che prevede la sospensione della corresponsione della sorte capitale per tutte le imprese (non solo le PMI) e per un periodo più lungo di quanto previsto nel passato e su semplice autocertificazione dell’impresa.

Si tratta di una iniziativa suggerita da “Post Covid19: 10 cose da fare subito” (edizioni “Scripta Moment”, 2020, distribuzione Amazon), un volume scritto di recente da Canio Trione ed Enzo Varricchio, nel quale si parla della necessità di rendere irredimibile il debito bancario.

In pratica, il debitore paga solo gli interessi ma non restituisce la sorte capitale per un dato periodo di tempo. Se questo tempo si allunga sine die, il debitore decide lui quando effettuare la restituzione della sorte capitale ma intanto la banca percepisce sempre il suo profitto, dato dagli interessi. La banca non ha alcun interesse a cessare il rapporto col cliente e quindi a vedersi restituire il capitale che poi dovrebbe prestare ad altri. Il debito diventa irredimibile cioè “da non restituire per forza, bensì rinnovabile nella scadenza a scelta del debitore”. Questo consente alle imprese di mantenere la liquidità per gli investimenti. Il meccanismo può essere esteso alle famiglie.

Una delle conseguenze di questa nuova filosofia è che i proventi delle banche non si riducono col passare del tempo mentre la liquidità in circolazione non si riduce; con sistemi sempre più vicini all’automaticità. Una specie di toccasana per imprese e famiglie alle prese della imprevedibilità della pandemia ma che in futuro potrebbero avere altri imprevisti non necessariamente negativi per avere utilità nella posticipazione della corresponsione della sorte capitale. È evidente che chi ha deciso la introduzione di questa prassi non ha compreso ancora appieno il valore propulsivo di tale misura (se così fosse sarebbe stata applicata molto prima, meglio e di più) né, tanto meno il suo valore sistemico e quindi permanente… ma è sulla buona strada. Peraltro non è ormai più credibile uno sviluppo fondato su grandi opere pagate in debito da un bilancio pubblico sgangherato. Né quelle opere fanno altro che minare l’ambiente visto che hanno ricadute occupazionali e di stimolo al Pil veramente irrisorie. Detto in soldoni le grandi opere servono essenzialmente a chi le fa e ai produttori delle macchine che servono alla loro realizzazione. Noi stiamo solo a guardare…..e a pagare.

Questo rinsavimento delle gerarchie creditizie dovuto al virus (non tutto il male viene per nuocere) descrive in maniera inequivocabile la necessità di revisionare alle fondamenta il sistema del credito non solo nazionale non tanto per salvare i deboli ma per dare un futuro anche ai forti che si stanno rivelando molto più gracili dei deboli stessi. Revisione che deve andare di pari passo alla totale revisione delle concezioni di politica economica e della sua realizzazione concreta.

L’immenso odierno fabbisogno di credito è certamente una opportunità per le imprese bancarie e per la platea dei risparmiatori in quanto foriere di profitti e interessi più elevati; risparmiatori che nonostante i tradimenti recenti, si rivelano disposti a rinnovare la fiducia verso il sistema e il futuro. Ma certamente presto si evidenzierà la modestia del patrimonio di molte banche, specie piccole, verso le richieste del mercato; questo è vero anche alla luce dell’accresciuto rischio implicito al nuovo e vecchio credito. Quindi serve un anello di collegamento tra il risparmio retail e/o professionale e la collocazione azionaria bancaria che oggi è ancora vista come il fumo negli occhi da parte dei risparmiatori.

Ancora si indugia su forme di statalizzazione velata delle banche o, ancor peggio, alla concentrazione creditizia con acquisizioni e accorpamenti che sono la peggiore delle opzioni possibili. I risparmiatori e il mondo dell’utenza bancaria vuole fermamente la conservazione delle banche -specie piccole e territoriali- quali esse sono, con la loro indipendenza. Serve la costituzione di un fondo che intervenga nella ricapitalizzazione sia con danaro fresco opportunamente ottenuto dal mercato (avendolo retribuito) sia con competenze in grado di contribuire al rilancio della redditività delle imprese bancarie ricapitalizzate; certamente non secondo il modello errato utilizzato per la Banche di credito cooperativo ove i virtuosi non si sono visti riconoscere i meriti mentre le procedure non si sono snellite. In questo senso, gli stessi Trione e Varricchio hanno proposto soluzioni concrete e di immediata fattibilità anche prendendo spunto dalla vicenda della Banca Popolare di Bari; ma a tutt’ora nulla si muove.

Che si attende?

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