di Raffaele Vairo
Quello che è successo al Senato dimostra che i nostri politici, la maggioranza, considera il ruolo di parlamentare come un’assicurazione sulla vita. La posizione dei parlamentari è e deve rimanere un privilegio da difendere con ogni mezzo, legale o illegale, anche a scapito degli interessi generali per la cui affermazione sono stati eletti. Insomma, per questi signori la crisi economica non esiste; anzi, in spregio alle difficoltà prodotte dalla pandemia e dalla loro insipienza, essi sono disposti a piegare leggi e morale al servizio dei loro interessi personali. Inutile dire che certi avvocati, presenti in entrambi i rami del Parlamento, hanno piegato il diritto a servizio dei loro privilegi.
Più che avvocati sono AZZECCAGARBUGLI. Ma il guaio più vistoso è che molti cittadini, tra i quali sono numerosi quelli che non riescono a sbarcare il lunario, si lasciano convincere dalle pretestuose e giuridicamente infondate argomentazioni che gli avvocatucoli imbastiscono per giustificare i privilegi, che, bontà loro, sono previsti dall’ordinamento a tutela dei cittadini: “chi sa di latino loda l’acqua e beve il vino”. Come quando hanno certificato che Ruby fosse la nipote di Mubarak e non la minore destinata a soddisfare le malevoglie del potente di turno. Cari lettori, questi signori vogliono farci credere che i loro interessi, anche quelli più beceri, siano da tutelare nel superiore interesse dello Stato.
La Presidente del Senato, al secolo Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha sottolineato che la commissione contenziosa è un organo giurisdizionale che applica la legge e quindi decide in base a precise norme giuridiche, resistendo ai tentativi di coloro che vorrebbero decisioni in funzione di convinzioni politiche. Tutto giusto. Ma se la commissione è un organo giurisdizionale le sue decisioni devono essere adottate nel rispetto delle norme del codice di rito, secondo il quale il giudice, oltre a essere indefettibilmente indipendente e imparziale, deve essere capace (art. 178 c.p.p.); il suo giudizio, cioè, non può essere sospettato di parzialità, condizione che si ha quando la sua decisione possa dipendere da un suo interesse attuale che potrebbe giustificare la sua presenza nel processo quale parte e non quale giudicante. Insomma, il giudice non può far parte di un collegio giudicante preposto a decidere se l’interesse oggetto del giudizio coincide con il proprio interesse personale.
Dunque, qualsiasi soggetto che abbia un qualche interesse nel processo, nel senso che la decisione possa risolversi anche in un proprio vantaggio economico o semplicemente morale, deve astenersi dal processo rinunciando all’esercizio della funzione per palese incompatibilità. Insomma, nessuno può essere giudice di se stesso. Addirittura le norme processuali dispongono che il giudice debba astenersi anche quando si ravvisassero gravi ragioni di convenienza. Figurarsi poi se nel processo fosse in gioco un qualche suo interesse economico che giustificherebbe la sua presenza nel processo quale parte.
Nel caso di specie appare molto grave la presenza di Giacomo Caliendo, capo della commissione, il quale non avrebbe potuto farne parte in quanto interessato al riconoscimento del diritto al vitalizio. Pertanto con il suo voto in favore del ripristino dei vitalizi egli avrebbe deciso in favore di se stesso. Secondo il senatore Primo Di Nicola Il ripristino dei vitalizi suonerebbe quale grave offesa a milioni di italiani e al loro senso di giustizia proprio in un momento di grave difficoltà economica in cui versano molte famiglie. Ma anche al buon senso comune offeso dalla grave arroganza manifestata dai componenti che hanno espresso il loro voto favorevole a una delle più gravi storture denunciate dai Pentastellati e difese da una sola parte politica, il gruppo dei senatori di Forza Italia guidato da quello stesso avvocato che ha convinto (?) il Parlamento che Ruby Rubacuori fosse la nipotina perduta di Mubarak, verità sancita con una votazione alla Camera dei Deputati del 5 aprile 2011 e passata alla storia come uno dei momenti più bassi della politica italiana.
Ma i senatori, favorevoli alla conservazione dei loro privilegi, sostengono che il procedimento in seno alla commissione contenziosa, in virtù del principio di autodichia, sarebbe sottratto alle ordinarie regole processuali. Vale a dire che il Senato, quale organo costituzionale, ha la facoltà di decidere in modo autonomo (cd giurisprudenza domestica), ai sensi dell’art. 12 comma 1 Regolamento del Senato. Affermazione vera. L’autodichia è una facoltà prevista per alcuni organi costituzionali (Parlamento e Corte Costituzionale) nella convinzione che, trattandosi di supreme istituzioni costituzionali dello Stato, mai e poi mai avrebbero adottato decisioni in contrasto con la morale pubblica. Discostandosi da questa elementare regola la commissione contenziosa ha gravemente tradito la fiducia degli italiani nei confronti delle massime istituzioni democratiche. E, quindi, la decisione della commissione contenziosa va cancellata. Ma non bisogna illudersi che un eventuale appello, da presentare avanti altro organo del Senato, sarebbe accolto nel superiore interesse dello Stato. A meno che non si crei un movimento di popolo capace di convincere i membri del Senato che gli italiani non sono così imbecilli da bersi le chiacchiere degli azzeccagarbugli di turno, quali quelle attribuite all’avv. Paniz, già parlamentare di Forza Italia, che tenta di convincere gli italiani che la sua battaglia in favore dei vitalizi è fatta, bontà sua, a tutela delle pensioni degli italiani. Che non sono pensioni d’oro, come quelle dei parlamentari! Di lui è opportuno ricordare i discorsi tenuti in Parlamento in favore della tesi che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak, dando una falsa rappresentazione delle capacità critiche degli italiani. I quali, nella stragrande maggioranza, hanno dimostrato di non bersi ogni balla che venisse loro propinata, anche se nel consesso autorevole del Parlamento.
Raffaele Vairo