Tra le tante grandi emergenze che ha la Puglia ne ha una sottaciuta, forse sottovalutata, che è quella della cultura. Si spendono tante anacronistiche discussioni, soprattutto sul piano regionale, ma il vuoto di competenze e il trionfo delle vacuità trionfano.
Le città della Puglia sono città che esprimono cultura e profonde appartenenze ma sono anche territori completamente sradicati. Non da oggi. In tempi pandemici. Sono territori dove non si è costruito un progetto culturale, dove la cultura non è stata investimento, dove la provvisorietà è epocale.
Eppure non ci si è resi conto che è dalla promozione del territorio che nascono il turismo, le economie sommerse, lo sviluppo generazionale. C’è una abbinata singolare tra processi culturali e generazioni che attraversano il tempo degli anni. E gli anni passano e i giovanni culturalizzati vanno via.
Taranto è una città in caduta libera. Non ha un progetto istituzionale garante di un futuro culturale. La “noiosa” etimologia di Magna Grecia è diventata un orpello consumata. Taranto muore in tutti i versanti ma non ha la forza culturale di creare eventi valorizzanti se non fosse per qualche libera e autonoma associazione.
Così il suo territorio. Paesi perduti. Nonostante tra il 1995 e il 1999 si erano realizzati eventi internazionali. Cosi nel resto della Puglia. Bari è un deserto. Foggia sembra il territorio dove non arriva il mediterraneo mentre Lecce ha il Barocco nell’anima e la grecità è solo un concetto.
Insomma, quando cominceremo a pensare che la cultura, ovvero i beni culturali, ovvero il patrimonio ambientale, naturalistico, socio – identitario saranno un epicentro per una vera rivoluzione economica attraverseremo una nuova dinamica sugli investimenti. La Puglia è una terra da risanare sul piano culturale se vuole essere competitiva sul piano europeo.