Perché scoppi una guerra e si occupino terre altrui occorre sempre ci sia una causa, caso contrario si chiama invasione. Molti storici “contro corrente”, per fare un esempio, ritengono che la spedizione dei Mille con la conquista dell’Italia meridionale e la consegna di questa a Re Vittorio Emanuele II a Teano, sia stata un’invasione bella e buona, giacché Vittorio Emanuele mai aveva pensato di dichiarare guerra a Francesco II di Borbone, re delle due Sicilia e peraltro suo cugino da parte di madre.
Nel settembre del 1939 la mente di Hitler era tutta protesa a scatenare una guerra, mancava però il seme da cui far nascere il conflitto. Un progetto in verità l’aveva, suggerito dai suoi migliori collaboratori, consisteva nell’ iniziare il tutto attraverso l’invasione della Polonia. In previsione di ciò, lungo la terra di confine aveva già schierato abbastanza truppe da concludere bene e presto il colpo di mano. Ma il motivo? Semplice, se il “casus belli” mancava allora non c’era che da crearlo. E così fece il Führer nell’agosto del 1939, avvalendosi dell’operazione ideata da Himmler (comandante delle forze di sicurezza di Hitler), perfezionata da Heydrich (direttore della Gestapo) e gestita da Muller che della stessa gestapo era il più alto responsabile dopo Heydrich. Il progetto consisteva nel simulare una provocazione da parte della Polonia.
Un’indicazione precisa del suo svolgimento l’abbiamo, grazie a quanto dichiarato al processo di Norimberga da Naujocks (ufficiale delle SS che prese parte alla messinscena): “…Heydrich mi ordinò personalmente di simulare un attacco contro la stazione radio di Gleiwitz (stazione radio tedesca a ridosso del confine polacco), facendo credere che il gruppo di aggressori fosse formato da soldati polacchi. Mi diede anche istruzione……di permettere a uno speaker tedesco-polacco, che sarebbe stato messo ai miei ordini, di leggere un proclama in polacco dai toni provocatori e anti-nazisti e che sarebbe stato ritrasmesso sulla rete nazionale…Aggiunse poi che l’ordine veniva direttamente da Hitler e che non poteva essere né discusso né rifiutato e che il fallimento dell’operazione avrebbe comportato la mia morte…”.
E così fu. Nella serata del 31 agosto del 1939, gli agenti provocatori giunsero nei pressi del bosco di Ratibor, dove si combiarono d’abiti indossando uniformi polacche, quindi fecero irruzione nei locali della radio. In concreto non incontrano alcuna reale resistenza. Qualche attimo di angoscia fu vissuto nel momento in cui un tecnico non riuscì a collegarsi alla rete nazionale. Nel progetto era stato previsto, infatti, che una volta presa la stazione, i falsi polacchi diramassero annunci contro la Germania. Non potendolo fare su base nazionale si accontentarono di diramarlo su onde locali.
L’azione fu resa più veritiera sacrificando un uomo che impersonerà un militare polacco ucciso durante l’assalto.
Col passare delle ore la macchina della propaganda nazista si era messa in moto efficacemente, talché nel momento in cui le truppe germaniche erano già ormai prossime all’invasione, venivano diramate comunicazioni ufficiali tedesche annuncianti: «La stazione radio di Gleiwitz è stata presa d’assalto da un gruppo d’insorti polacchi e momentaneamente occupata». Questi sono stati «ricacciati oltre confine dagli agenti del posto di polizia di frontiera; nello scontro a fuoco uno degli insorti è stato ferito mortalmente». Frattanto a Berlino i giornali davano ampia cronaca dei fatti, ponendo in risalto il falso storico. Il Volkischer Beobachter, per fare un esempio titolò: “Aggressori polacchi attaccano la stazione radio di Gleiwitz e aggiungeva: “Per difendersi dai colpi di mano polacchi, le truppe tedesche sono entrate in azione questa mattina all’alba. Tale azione non può essere considerata come un atto di guerra, ma semplicemente come una risposta agli attacchi polacchi…Dalle 5,45 del mattino spariamo a nostra volta … a partire da questo momento alle bombe risponderemo con le bombe!”.
Quando le bugie convincono più della realtà dei fatti e mettono in imbarazzo le diplomazie europee, difficilmente si riesce a intraprendere e condurre negoziati costruttivi. Hitler non voleva “Pace” e, pertanto, inutilmente gli ambasciatori di Gran Bretagna, Henderson, e di Francia, Coulondre, si recarono dal Ministro degli esteri nazista, von Ribbentrop, con un ultimatum: la Germania ritiri le truppe e ponga fine all’aggressione o in caso contrario ci sarà la proclamazione dello stato di guerra contro Berlino. La minaccia suonò musica alle orecchie del Führer che replicò con durezza di non essere lui l’aggressore bensì l’aggredito. E fu così che verso le cinque di quel primo settembre le armate della Wehrmacht composte di oltre un milione di uomini, più di duemila carri armati e una imponente forza aerea misero in ginocchio la Polonia attraverso un attacco a tenaglia. Con i pochi mezzi a disposizione, se posti a confronto con la prorompente forza germanica, l’esercito polacco oppose un’ostinata, tenace ed eroica resistenza ma del tutto insufficiente a contrastare l’avanzata nemica.
L’8 settembre i carri armati di Hitler raggiunsero alle porte di Varsavia. Il 17 sulla base del patto Molotov-Ribbentrop anche l’Unione Sovietica invase la Polonia. Tra Tedeschi e francesi per alcuni mesi si combatterà per terra una guerra fatta più di scaramucce che non di una vera contrapposizione bellica, tanto che i transalpini la definiranno la “Guerre drôle” (guerra strana).
Poi sarà guerra e guerra vera, ce la racconta la storia, la triste quanto tragica storia della seconda guerra mondiale. Come andò a finire e che strascichi ebbe in Italia, anche oltre la sua fine, lo sappiamo tutti.
Giuseppe Rinaldi