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Lo starnuto e la mascherina

Settembre è alle porte, con esso anche l’inevitabile rientro alla quotidianità degli studenti e la fine di questa pesante estate. Lo è stata, diciamocelo. Passando da un giugno di solito così ricco di allegria per l’arrivo delle amate vacanze, per quel che è stato invece l’inizio di un’indecisione eterna: “il dilemma della mascherina scomparsa”. Proseguendo poi in un luglio afoso ed insopportabile, all’insegna di un popolo diviso tra il rispetto delle regole ed il menefreghismo. Esso poi continua per la perturbazione di agosto affollata di normalità come se quello accaduto mesi prima fosse terminato in uno schiocco di dita ed i morti precedenti risorti sulla spiaggia sfoggiando bikini e mojito con tanto di balli di gruppo.

C’è chi le porte di questo ambito mese le spalanca, chi invece ci mette una serratura biometrica che nemmeno Diabolik oserebbe sfiorare (distanza prima di tutto). Ma perché una così netta differenza? Si sa, tra bambini e adolescenti il ritorno a scuola è per lo più un dramma psicologico, al contrario delle famiglie che saltano di gioia al solo pensiero di togliersi di torno i propri figli. Quest’anno si è ribaltata la situazione. Le nostre care famiglie così in ansia dalle misure di sicurezza e gli studenti così stanchi di tutto che si fa sempre più avanti la giusta convinzione che proprio lì a scuola potranno riprendersi quella felicità. Che dicono però i nostri amici al governo? E la nostra carissima ministra Azzolina, con il suo genio intrepido, cos’ha pensato? Dopo settimane e settimane di idee strampalate, si è giunta alla conclusione che tutelare gli insegnanti è la priorità, aumentando la distanza tra cattedra e banchi. Se sentirete delle urla di felicità nei prossimi giorni sappiate che sono quei professori che sorridono guardandoci da lontano. Queste cose, per la maggior parte, sono note da mesi: come mai le scopriamo solo dopo le vacanze, in prossimità della riapertura? E perché invece di preoccuparci di rime buccali, banchi con le rotelle e ridefinizione allargata del gruppo di congiunti, non puntiamo l’attenzione su questi punti? Colpevolizzare gli insegnanti è fin troppo facile, bisognerebbe ricordare che chi ci ha condotto a questo punto non sono gli insegnanti, ma una classe dirigente la quale ha semplicemente eliminato da tempo dalla propria agenda il risanamento e finanziamento della scuola pubblica, e quindi non ha certo cambiato rotta in occasione della pandemia. Tenere chiuse le scuole è una scelta impraticabile e profondamente dannosa, anche in termini di salute pubblica; ma far pagare ad alunni, famiglie e insegnanti l’inutile costo dell’inettitudine e dell’inane incompetenza di chi dirige l’Italia (che sia all’opposizione o al governo) è assolutamente ingiusto e inaccettabile, considerati gli svariati mesi trascorsi a non occuparsi del problema e considerato anche il fatto che una ripresa in grande stile dell’epidemia ci costringerebbe a richiuderle comunque. Io non so, magari è solo perché leggo le notizie sulla scuola tutte insieme, ma ho la sensazione che ci si stia preoccupando molto di come entrarci e come uscirci. Cosa farci una volta dentro, sembra che sia per tutti meno interessante. O quanto meno è affar nostro.

Nei giorni scorsi ha tenuto banco l’esilarante bufala virale secondo cui, in caso di contagio, il pargolo sarebbe stato celermente prelevato dalle autorità competenti e sottoposto a cure acconce per poi essere riconsegnato alle rispettive famiglie una volta rimesso a nuovo. Ne è seguita un’insurrezione digitale delle madri che temevano di vedersi sottratti i preziosi figlioli, quelle stesse madri che spero arriveranno sollecite a prendere all’uscita i figli febbricitanti. Che poi, secondo me, a qualcuno invece sarebbe pure piaciuta come soluzione, dopo mesi di coabitazione forzata con gli eredi minorenni.

Non sono fake news, invece, gli schemini pubblicati sui quotidiani che spiegano, in una decina di disegnetti, cosa fare in caso di sintomi sospetti. Una ragionevolissima coreografia da imparare per poter gestire al meglio l’emergenza, sempre che di emergenza si tratti e non di quotidianità, perché se conosco un po’ gli studenti, alla frase “oggi interroghiamo” si scateneranno accessi di tosse e starnuti a raffica. E nel giorno della verifica ci saranno quelli con il volto affossato da due ore nel passamontagna di lana merinos per arrivare ad un dignitoso 38.2 di febbre che consenta lo scatenarsi dell’allarme rosso. Distinguere un reale sintomo da un “al lupo al lupo” diventerà competenza meritevole anche per Esopo che da “la cicala e la formica” verrà una rivisitazione 2020 style in “lo starnuto e la mascherina”.

Lidia Coluccia

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