Or l’Eterno disse ad Abramo: «Vattene dal tuo paese, dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai una benedizione.
Nel testo dell’intesa si legge che la normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi farà “avanzare la pace in Medio Oriente” e che Israele rinuncia alla controversa annessione di parti della Cisgiordania, sospendendo la dichiarazione di sovranità sulle aree precedentemente delineate dal piano Trump e concentrando i suoi sforzi sul miglioramento dei rapporti con altri Paesi del mondo arabo e musulmano.
Ma e’vera pace?O Israele ha deciso di fare pace con i nemici lontani per non dover fare pace con i suoi vicini palestinesi?
È notorio che l’accordo sia una sconfitta per i palestinesi, nonostante l’accantonamento del piano del governo israeliano per annettere pezzi della Cisgiordania.
Questi accordi hanno da un lato il sapore di un evento storico, con l’accettazione dell’esistenza di Israele in una parte del mondo arabo e l’infrazione di un tabù antico; ma dall’altra c’è anche il freddo calcolo di uomini politici come il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Trump o Mohammed bin Zayed, l’uomo forte degli Emirati.
Siamo lontani dalle emozioni suscitate dalla presenza di Sadat a Gerusalemme nel 1977 o dalla stretta di mano tra Rabin e Arafat alla Casa Bianca nel 1993. Ma l’epoca e la posta in gioco sono cambiate. Il nuovo realismo mediorientale sta prendendo forma.
È bene sottolineare che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, pur ammettendo che l’accordo segna un’importante svolta diplomatica per il suo Paese, ha precisato che il progetto israeliano di annessione della Cisgiordania non è stato cancellato, ma solo congelato, come richiesto dagli Stati Uniti.
Gli Emirati Arabi Uniti, con questo accordo diventano il terzo Paese arabo a intrattenere relazioni diplomatiche con Israele dopo Egitto (l’accordo di pace risale al 1979) e Giordania (1994). Ma soprattutto Abu Dhabi è il primo Stato del Golfo Persico a normalizzare i rapporti con Israele, acquisendo così lo status di Paese-chiave del blocco sunnita anti-Iran, capitanato dall’Arabia Saudita.
L’accordo è importante ,per gli USA soprattutto perché contribuisce a indebolire Teheran, ma anche perché Donald Trump ha un bisogno vitale di ottenere successi prima dell’elezione di novembre.
La Palestina è la grande sconfitta della nuova situazione regionale. Il peso politico dei palestinesi nel mondo arabo si è ridotto drasticamente, sicuramente all’interno dei regimi anche se non presso l’opinione pubblica. In questo senso è evidente che Israele ha deciso di fare pace con i nemici lontani per non dover fare pace con i suoi vicini. Dal fronte palestinese è arrivata una dura condanna: normalizzare le relazioni con Israele vuol dire far saltare l’iniziativa per la pace araba e tradire l’aspirazione a uno stato palestinese indipendente.
E’davvero importante l’accordo annunciato ieri? Cambierà qualcosa in Medio Oriente? Che conseguenze avrà per il conflitto israelo-palestinese?
L’annessione di un pezzo della Cisgiordania – più precisamente delle colonie israeliane che Netanyahu, spostandosi sempre più a destra, aveva promesso di annettere,territori che la comunità internazionale attribuisce al futuro stato palestinese, ma che Israele occupa da più di mezzo secolo-è un passaggio importante per capire le implicazioni dell’accordo.
Netanyahu era stato già costretto, per ragioni di forza maggiore, a rinunciare al piano di annessione delle colonie israeliane in Cisgiordania. Quel progetto non era più nei piani di breve periodo del governo israeliano, perché si era dimostrato insostenibile. E allora perché nell’accordo se ne parla come della principale merce di scambio tra le due parti?
Sia per gli Emirati che per Israele, inserire nell’intesa la questione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania è stato provvidenziale, anche se per ragioni diverse.
Netanyahu ha usato l’accordo per cercare di vendere l’idea che la rinuncia all’annessione parziale della Cisgiordania non fosse un fallimento, ma una mossa realizzata per ottenere qualcosa di importante in cambio:
cioè l’avvio dei rapporti diplomatici con un influente paese arabo del Golfo, con cui in futuro Israele potrà collaborare per contenere l’Iran, il nemico numero uno del governo israeliano.
Portare a casa una vittoria diplomatica di questo tipo era molto importante per Netanyahu, che sta attraversando un momento particolarmente delicato: sia per il processo in corso a suo carico con l’accusa di corruzione, sia per le proteste che vanno avanti da settimane contro il modo in cui il suo governo ha gestito la pandemia da coronavirus.
Per gli Emirati, inserire nell’accordo la sospensione dell’annessione israeliana della Cisgiordania era fondamentale per non perdere la faccia di fronte agli altri paesi arabi, ed evitare di essere definiti “traditori” della causa palestinese: nonostante le recenti aperture verso Israele di alcuni governi arabi del Golfo, tra cui Oman e Bahrein, l’appoggio della regione alla causa palestinese rimane infatti molto alto, anche solo dal punto di vista formale.
La posizione ufficiale della Lega Araba, un’organizzazione internazionale di cui fanno parte anche gli Emirati Arabi Uniti, da circa una ventina d’anni prevede che la normalizzazione dei rapporti con Israele possa avvenire soltanto dopo il ritiro del personale civile e militare delle zone occupate in Cisgiordania.
Come ha scritto il giornalista Haviv Rettig Gur sul Times of Israel, il risultato è stato che ciascun paese ha dato una propria versione della storia.
. La confusione non è stata chiarita nemmeno da Trump, che inizialmente ha sostenuto che l’annessione fosse «più che fuori dal tavolo delle trattative», ma poi ha aggiunto che l’accordo riguardava la situazione attuale, e che in futuro le cose sarebbero potute cambiare .
L’accordo di per sé, come detto, non cambierà di molto la situazione attuale: sia perché Israele ed Emirati avevano già relazioni, anche se non ufficiali, sia perché l’annessione della Cisgiordania era di fatto già stata accantonata da Israele.
La grossa svolta, ha scritto tra gli altri il New York Times, arriverebbe però solo con l’Arabia Saudita, il più importante e influente paese arabo del Golfo Persico, il principale nemico dell’Iran insieme a Israele, e il custode dei due luoghi più importanti per la religione islamica: Medina e La Mecca.
In conclusione?
I vincitori sono il primo ministro israeliano Netanyahu, il presidente statunitense Trump e il regime degli Emirati Arabi Uniti, mentre gli sconfitti sono i palestinesi.
Perché?
Il fatto che nonostante l’occupazione un paese arabo abbia scelto di normalizzare i rapporti con Israele, ha scritto Pfeffer su Haaretz, potrebbe indebolire in maniera significativa le ambizioni dei palestinesi di riprendere il controllo dei territori occupati e creare uno stato proprio.
L’impressione, inoltre, è che le cose non cambieranno nemmeno se alle prossime elezioni presidenziali di novembre dovesse vincere Joe Biden, sfidante Democratico di Donald Trump: Biden, così come il resto del Partito Democratico, si era mostrato contrario al piano di annessione della Cisgiordania presentato da Netanyahu, e probabilmente vedrebbe di buon occhio una ulteriore distensione tra Israele e paesi arabi del Golfo, che garantirebbe innegabilmente una maggiore stabilità nella regione.
E quindi?
L’accordo tra Israele ed Emirati potrebbe tracciare una tendenza che diventerebbe significativa nel caso in cui altri paesi arabi decidessero di seguire gli Emirati; ma come ha scritto l’Economist, «invece di cambiare la regione, l’accordo è stato semplicemente il riflesso di come la regione fosse già cambiata».
Daniela Piesco
redazione@corrierenazionale.net