Prof.Avv. Antonello Blasi
E’ corrente ormai da mesi l’espressione ripresa nel titolo di emergenza che, unita al bollettino analitico di diffusione del virus e dei morti, vorrebbe diffondere un invito a tener alta la prudenza, provocando in molti invece un senso paura e in altri di dipendenza mediatica comportamentale e di soggezione a quanto viene raccomandato-indicato.
L’emergenza diventa la giustificazione di provvedimenti normativi a tutti i livelli (dall’internazionale fino al piccolissimo municipio distretto o contea) nei paesi democratici definiti come “temporanei” per urgenze e necessità non sempre ben motivate, che sospendono spesso diritti personali e fondamentali senza riscontro, controllo o verifica delle fonti da cui il soggetto decidente ha raccolto dati per emanare quei provvedimenti limitanti e limitativi.
L’unico elemento comune resta la paura di uscire, di incontrare, di toccare, di condividere. I cittadini vengono invitati a dividersi e restare in casa, i legislatori invece si riuniscono per tutelarli. Un coprifuoco modulato per cui accessi controllati per le esigenze primarie, appuntamenti diluiti per quelle economiche, tolleranza allertata per quelle religiose e culturali. E’ singolare che proprio la aspirazioni delle persone nelle agenzie educative e istruttive siano quelle più frenate e disciplinate più strettamente di altre, come se lì si potesse annidare quel desiderio di libertà che permette il controllo dei controllori peraltro doveroso nei sistemi che vogliono essere democratici e considerare i cittadini come popolo attivo e non massa passiva o gregge sottomesso.
Potrebbe apparire un discorso anti e invece è esattamente il contrario, è invitare la massa al risveglio come popolo, cosciente e critico, senza pregiudizi o dogmi sanitari di cui poi assistiamo a rettifiche proprio perchè nulla può essere assolutizzato salvo i diritti fondamentali della persona umana.
Non si vede più il terminale-guida, chi dirige tra politica sanità economia e media. Spesso la polverizzazione in tante micro-competenze e micro-funzioni fanno si che nessuno è responsabile e tutti poi devono pagare gli errori di qualcuno che agisce e sbaglia ma ne esce indenne. Infatti molti una volta si diceva “servitori dello Stato”, sono interessati a legittimare le proprie decisioni-scelte-indirizzi mediante provvedimenti locali nazionali internazionali trasferendo per la responsabilità degli effetti agli utenti (di locali pubblici, discoteche, chiese, minorenni considerati sconsiderati, famiglie estese in feste private, raduni di amici per eventi cerimonie e ricorrenze, gente in spiaggia…).
Difficile comprendere i diritti privati con l’intervento massiccio del diritto pubblico. Siamo in una legge dell’ordine o in quella liquida che si adegua a esigenze politiche di breve e a quelle economiche di lungo termine ?! Dalla certezza normativa (dalle pandette ai codici) del diritto dei due secoli precedenti si è passati al diritto liquido simile a quello pretorio e poi a quello di common law ben sapendo che nel tempo l’esigenza di sistemazione e formalizzazione nel diritto giustinianeo e nel desiderio di carte fondamentali anche laddove manca il patrimonio codiciale ha avuto la naturale conseguenza. Le Carte e le Dichiarazioni universali e internazionali fanno da esempio.
Nonostante questo si desidera delegare all’intelligenza artificiale la codificazione delle fattispecie per rendere giustizia rectius per applicare il diritto. Così giustifichiamo robot che prendono decisioni per noi, che giudicano ed applicano sanzioni sugli umani, rendendo impossibile l’applicazione dell’aequitas salomonica sul singolo caso poiché per statistica la percentuale di errori sta che sia sotto una percentuale anch’essa predeterminata.
A volte abbiamo mancanza di regole per altre invece una proliferazione delle stesse: nessuno vuole fallire e sentirsi incapace ma a forza di trattarlo come fallito ci crede e non dare orme o darne troppe porta le persone al fallimento.
La tempestività delle decisioni e la selezione delle consulenze sono i parametri di vittoria o di sconfitta di un sistema: la visibilità non aiuta a risolvere l’emergenza anzi pu diventare attività demagogica a danno del tempo di riflessione sulla selezione delle scelte proposte e non imposte dai consulenti a cui un governo (di ogni livello dal piccolo ente in su) non deve delegare ma fare richieste di analisi costi e benefici ma, per poi, decidere.
La memoria storica resta qui imprescindibile come la consapevolezza della doppia efficacia di qualsiasi scelta scoperta, innovazione. La dimensione di Giano è sempre presente in ogni azione.
Il singolo vede a breve termine, la famiglia programma nel medio il politico dovrebbe (deve) progettare per il lungo termine, cosa ? Salute, sicurezza, lavoro, il bene-essere dei cittadini, la qualità della vita di tutta la popolazione. Che ogni singolo cittadino verifichi, valuti e poi voti per scegliere chi lo dovrà governare, sempre con la limitazione del tempo per evitare sedimentazioni che trasformino il servizio al popolo come potere sulla massa.
Spesso è un singolo che muove la Storia a cui si accodano persone, famiglie e popoli, sovente non con le stesse intenzioni del promotore. Oggi con i media si scavalca il soggetto-resistenza famiglia e si passa a condurre masse non popoli con adesioni-faccette segni primitivi e like vari che riducono le persone a plebe del panem et circensem di antica memoria.
L’emergenza sanitaria ha mostrato gli egoismi degli Stati, le azioni di culto comune tra religioni ma anche una radicalizzazione di alcune che hanno sfruttato il momento per recuperare consenso tra i propri adepti, lasciando prevalere i soliti interessi e il dialogo solo a pochi e senza darne comunicazione ai credenti. Fraternità e ius gentium, sono categorie ancora per pochi spiriti buoni, categorie che non godono di diffusione mediatica se non per necessità ovvero quando subentra negli egoismi statali la consapevolezza tardiva che se cadono gli altri resto solo e non posso esportare e restare ricco e potente.
Quanto più le istituzioni legiferano coralmente tanto più non ci saranno minoranze obliate. Si sente qualche voce intellettuale parlare di cessione di porzioni di sovranità: mai esigenza più sentita dai puri spinta dall’epidemia, mai esigenza più ostacolata dalla paura dei singoli stati di vedersi guidati e sospinti da chissà quale autorità mondiale.
Serve una pace non fondata sul silenzio passivo, una parentesi tra due insurrezioni o due guerre, ma attiva libera e felice.
Un esempio riguarda il petrolio italiano (non solo quello lucano) formato da beni naturali, artistici e storici: quanto è lasciato al volontariato, quanto peso ha il ministro dei beni culturali comparato agli altri, che potrebbe essere la macchina trainante dell’economia dell’Italia del terzo millennio: dico sempre che investire in un museo permette di costruire un ospedale ma non il contrario.
Occorre dunque una capacità politica di educare ai valori ma con il comportamento per prima cosa, diventando modello di coerenza da un lato e con strumenti dall’altro per svegliare l’intelligenza dei cittadini con la curiosità e l’interesse: rivoluzionare i palinsesti perchè se restano novecentonovantanove canali di effimero non si pu coinvolgere la popolazione al risveglio culturale indicandone uno solo.
Scemiamo i programmi dove la cultura va in terza serata o in prima solo se diventa spettacolo (e non ci riferiamo solo alle reti pubbliche ma a tutte), con giornali senza pagine di buone notizie perchè appunto non fanno notizia: cento anni fa anche il ciabattino e il falegname cantavano brani lirici mentre lavoravano perchè “in piccionaia” sulle balconate dei teatri dell’opera, ci andavano anche loro. E l’Opera, ora che l’abbiam presa ad esempio, è ancora oggi, e sottolineo l’oggi, il veicolo mediante il quale la lingua italiana, è conosciuta nel mondo. Chiedetelo ai cantanti lirici stranieri se non conoscono l’italiano (e come lo conoscono bene) e agli amanti della lirica che conoscono l’italiano grazie alle nostre opere. Questo avviene oggi, ed è stimolo, entusiasmo e orgoglio della nostra Tradizione che non è passata, è presente.
Prof. Avv. Antonello Blasi