Che lo vogliamo o no, ci imbattiamo quotidianamente, da addetti al settore o meno, in definizioni che cerchino di orientarci o disorientarci nel marasma del contemporaneo.
I soldati dell’arte-a-tutti-i-costi, perché è d’obbligo creare, ammirare, contemplare, diffondere e non comprendere, se ne stanno vestiti di nero con il flûte e l’aria compita e severa (anche questa fa parte della mise da battaglia) in piedi nelle gallerie o seduti nei migliori salotti. Credetemi, esistono ancora. Persino questi ultimi. Così vediamo affilare le loro lance critici, esperti, intenditori, pensatori dell’ultim’ora.
Varricchio non ci sta. A difendere, schioccare le dita per aprire al palcoscenico dell’arte dei misfatti.
La analizza dalle sue più complesse radici storiche, la sua amata arte contemporanea. Si sofferma sulla lotta dei significati, perché nessun essere umano sia indifeso dinanzi ad un’opera d’arte. Perché il finale della storia-opera artistica sia il singolo a scriverla.
Enzo Varricchio fornisce gli strumenti ma non risponde ai perché, lascia al fruitore spettatore individuo libero arbitro dei valori conferire mille risposte o nessuna nell’assoluta autonomia di scavare nel fondo piatto della tela tutto ciò che lì può disvelarsi. Fino a trovarne i tesori reconditi. Le magie inattese. O il meraviglioso buio nulla.
L’autore, sapiente astronauta nella galassia dei non-significati di una vicenda tanto complicata qual’è l’arte, ci prende per mano e riesce in ciò che pochi raggiungono, ci concede cioè, con umiltà, il silenzio interiore per elaborare la molteplicità dei sensi, nell’anima intima di ciascuno di noi.
Ci insegna, con la mitezza decisa del suo scrivere, che chi si accosta all’opera deve spogliarsi dei panni dello scrutatore che chiede i confini delle significazioni. L’arte ribalta lo statuto dei nostri simboli, sfalda e scompone la realtà per produrre il sublime che è soprattutto discontinuità tra la scintilla poetica dell’artista e il vano sforzo ermeneutico di chi alla sua opera si avvicina.
Allora, lasciate che l’arte sia. Nella sua assoluta schizofrenia. Nella sua dissolvenza dei significati.
Lasciate che il sacro enigma nei secoli sopravviva.
Grazie a Varricchio. Alla più bella non-guida all’arte contemporanea che abbia letto di questi strani tempi.