Le disfatte di El-Alamein in Africa 1942 e di Stalingrado in Russia 1943, sono da considerarsi le due facce di una stessa medaglia: la sconfitta delle forze dell’Asse a conclusione del secondo conflitto mondiale.
Il 6 novembre del 1942, la Divisione Folgore, in fase di ripiegamento, priva di munizioni, armi e vettovagliamento, fu costretta ad arrendersi alle forze del generale inglese Montgomery, senza alzare bandiera bianca, né a mani in alto. Il nemico accordò agli italiani l’onore delle armi, così com’era stato concesso il 17 maggio di un anno prima, sull’Amba Alagi alle truppe del Duca d’Aosta al comando del generale Nasi.
E’ questo un “onore” militare di alto valore simbolico, consistente nel rendere omaggio al merito del vinto i cui soldati sfilano, con diritto di tenere la bandiera di guerra impennata, davanti al contingente vincitore che gli presenta le armi, in segno di rispetto.
Tra le sabbie di El-Alamein s’infransero più sogni: quello di Mussolini di poter entrare vittorioso in Alessandria d’Egitto e quello di Hitler, ormai prossimo a Stalingrado, di giungere a impadronirsi del Medio Oriente con le sue riserve petrolifere, attraverso il Cairo e il canale di Suez. A metà giugno il dittatore italiano aveva raggiunto le retrovie del fronte di El-Alamain immaginando di poter entrare a breve in Alessandria, sfilando alla testa delle sue truppe in groppa a un cavallo bianco e con la spada dell’Islam sguainata. Ma nulla di tutto ciò accadde, anche perché sotto il profilo strategico Mussolini aveva idee più chiare dello stesso Rommel che sgarbatamente, in quell’occasione, non volle incontrare il Duce. Costui, infatti, era convinto che la conquista dell’Africa passasse per l’occupazione di Malta, ma Hitler non si convinse di ciò e le cose, anche per questo, andarono come sappiamo. Certo è che una vittoria italiana in Africa, in determinante appoggio all’Afrikakorps, avrebbe rasserenato i rapporti tra italiani e tedeschi, convinti, questi ultimi, di spie italiane, al servizio degli inglesi, tra le file della regia marina, cagione delle batoste subite dal naviglio italiano a Capo Matapan nel 1941, a punta Stilo nel 1940, nel porto di Taranto nella notte tra l’11 e il 12 novembre dello stesso anno.
L’accusa di tradimento da parte di frange della nostra marina, diverrà palese nel dopoguerra attraverso la pubblicazione nel 1952 del libro “Navi e Poltrone” di Antonio Trizzino. Libro che con ogni probabilità non avrebbe visto la luce (alla pari dei dubbi germanici) ove, già in quegli anni, si fosse saputo che i messaggi cifrati delle nostre forze armate, realizzati con l’uso della macchina “Enigma” (quasi uguale alla consorella usata dai tedeschi), erano regolarmente “letti” dagli alleati grazie all’uso di un apposito dispositivo decrittatore noto come “Ultra”.
Tornando alla resa dei nostri paracadutisti, dopo le battaglie di El- Alamein, non pochi furono i riconoscimenti al valore degli italiani da parte inglese.
Alcuni:
«Gli italiani si sono battuti molto bene ed in modo particolare la divisione Folgore, che ha resistito al di là di ogni possibile speranza.» (BBC 8/11/1942);
«I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane». (RadioLondra11novembre 1942);
«Gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. La Folgore è caduta con le armi in pugno. Nessuno si è arreso. Nessuno si è fatto
disarmare.» (BBC 3 dicenbre 1942);
«Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore.» (discorso alla Camera dei Comuni del Primo Ministro Churchill).
In una Italia a pezzi e bocconi non fa male ricordare la statura degli uomini di quel 1942, anche a rischio che qualcuno delle generazioni a venire si senta tanto più piccolo.
Giuseppe Rinaldi
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