C’è una cosa che un commentatore politico deve fare, per approcciarsi a scrivere quest’articolo, avendo resistito in apnea alla martellante maratona televisiva di ieri al Senato, esercizi di rilassamento mentale, tra sinapsi squinternate, specie dopo aver sentito quel deputato, credo di FdL, che protestava contro la Rai per aver messo la pubblicità durante l’intervento della capogruppo, mentre si trattava di un cambio canale.
Questo mentre riecheggiano nelle orecchie le parole del premier di ricostruzione post-bellica, richiamando quell’impegno dei costituenti dopo la grande guerra, una analogia forte ma efficace che dovrebbe determinare comportamenti più seri in tutti.
Ma la vera notizia, di questa prima fiducia al Senato di Mario Draghi che porta a casa 262 voti favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti, è la fibrillazione del M5s.
Si tratta, è vero di una maggioranza ampia, di ben 101 voti in più rispetto alla maggioranza assoluta fissata a 161, questi numeri tuttavia non fanno vincere all’ex numero uno della Bce il primato. Il record dei voti favorevoli, con una maggioranza che arriva a quota 281, resta infatti in mano al governo di Mario Monti.
A pesare sono stati 15 senatori pentastellati che hanno votato contro (Abate, Angrisani, Corrado, Crucioli, Di Micco, Giannuzzi, Granato, La Mura, Lannutti, Lezzi, Mantero, Mininno, Moronese, Morra e Ortis, sei non hanno partecipato al voto – non tutti giustificati – e altri due si sono astenuti.
Fonti del Movimento hanno riferito che i dissidenti, che hanno votato contro la fiducia al governo Draghi, saranno espulsi. “Quei senatori ‘malpancisti'”, è la spiegazione, “si sono collocati fuori dalla maggioranza”. A questo punto i dissidenti avrebbero i numeri per formare un gruppo a Palazzo Madama.
Tra i ‘governisti’ nel Movimento, intanto, serpeggia l’amarezza per la decisione presa dai ‘frondisti’, una strada del resto preannunciata nei giorni scorsi nelle chat e nelle riunioni online dei gruppi.
Ora, fari puntati sul pallottoliere della Camera dove oggi giovedì si voterà la fiducia.
Il malessere dei 5stelle arriva anche nel giorno in cui la piattaforma Rousseau registra un’ampia maggioranza di voti, oltre l’80%, di favorevoli alle modifiche statutarie che portano il movimento a somigliare sempre più a un partito: comitato direttivo, alleanze politiche a tutti i livelli.
Forse è proprio questo passaggio che diventa cruciale per questo movimento, perde quella parte più legata alle sirene della piazza che tende tradizionalmente e totalmente a porsi fuori dalla politica, facendo solo attività di “movimento” (denuncia, pressione, manifestazioni, informazione, ecc.). Dopo tutto questo, e lo vedremo completato dal giro della fiducia alla Camera, tornerà la nostra riflessione su: ecologismo e politica, cosa fare? Basteranno le assicurazioni di Draghi sul ministero della transizione ecologica e di mettere l’ambiente in costituzione? Se così fosse i pentastellati potranno dire comunque di aver raggiunto più risultati, sulle 5 stelle del loro core business, avendo il Governo accolto in pieno la proposta di Beppe Grillo, ma forse questo non basterà a trattenere i delusi. E’ il costo della politica che in democrazia deve sempre fare i conti con i privilegi e gli oneri delle maggioranze.
Roberto De Giorgi