Una variante già rilevata in molti paesi, quella sequenziata a Napoli e per la prima volta in Italia.
La mutazione rappresenta un errore quando il virus produce delle “copie” di sé stesso. La mutazione della proteina Spike, che in linguaggio biochimico è classificata con E484K, vuol dire una diversa composizione delle basi. Le basi sono composti formati da zuccheri, fosfati e sostanze organiche complesse, che nel caso del coronavirus formano l’acido nucleico Rna, una specie di “foglio” sul quale è scritto cosa si deve fare per produrre le proteine virali e la stessa replicazione del virus. In seguito alla diversa combinazione delle basi nella posizione 484, anziché produrre l’acido glutammico “codice E” ha prodotto la lisina “codice K”, che è un aminoacido diverso (gli aminoacidi sono i componenti fondamentali delle proteine).
Tale mutazione renderebbe il virus meno identificabile dagli anticorpi prodotti dal sistema immunitario. Ulteriori analisi hanno inoltre mostrato che altre varianti, prodotte in passato, non proteggono da una reinfezione con la nuova variante. Allarma la mutazione E484K perché esiste il rischio che possa ridurre significativamente la capacità neutralizzante degli anticorpi. Nella pubblicazione di uno studio in preprint, firmato anche da uno dei massimi esperti dei vaccini, il professor Rappuoli, si è osservato, in vitro, che gli anticorpi hanno respinto il virus fino a quando questi, attraverso la mutazione è riuscito a trovare una “strada di ingresso diversa”. Gli autori della ricerca affermano che il virus, proprio grazie alla mutazione, riesce a sfuggire alla risposta immunitaria efficace, pertanto bisogna sviluppare “vaccini e anticorpi in grado di controllare le varianti emergenti”. La variante E484K sembra sfuggire alle risposte immunitarie di alcune persone.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta, inoltre, che studi preliminari “suggeriscono che la variante è associata a una carica virale più elevata”, fattore che può facilitare una “potenziale maggiore trasmissibilità (https://www.who.int/csr/don/31-december-2020-sars-cov2-variants/en/).
Nella seconda ricerca pubblicata si afferma che la mutazione rallenta di dieci volte gli anticorpi nella loro attività di neutralizzazione del virus. Questo, però, non implica che la vaccinazione non avrà efficacia anche perché, precisa Science, “i vaccini tendono a suscitare livelli enormi di anticorpi neutralizzanti, quindi un piccolo calo della loro potenza contro le varianti potrebbe non avere importanza”, e ci sono altri importanti strumenti della risposta immunitaria, come le cellule T della memoria, su cui le alterazioni manifestate dai nuovi ceppi virali non dovrebbero sortire alcun effetto.
Le mutazioni a volte hanno un vantaggio selettivo. Quando in questo paese si capirà che maggiore è la popolazione infettata più le varianti aumenteranno! Dal punto di vista del virus la mutazione che gli da il vantaggio non è quella legata a una maggiore letalità, ma quella che consente maggiore contagiosità, quindi si diffonderà più velocemente e avrà più successo. Ritengo che rispetto alla pericolosità nella diffusione delle mutazioni, alla incertezza legata alle dosi di vaccino, appare necessario incrementare il numero dei campioni virali processati per “leggere” e scoprire, attraverso il sequenziamento del genoma le varianti, dove sono concentrate, di che natura siano. Ricordo che la stessa OM ha raccomandato di aumentare la capacità di sequenziamento del virus.
Monitorare con estrema attenzione l’evoluzione del virus SARS-CoV-2 è di fondamentale importanza e il Regno Unito ha fatto un ulteriore passo avanti con la costituzione di un nuovo consorzio che si chiama G2P-UK. Il consorzio è guidato dell’Imperial College di Londra, e ha il compito di lavorare al fianco di COG-UK, per capire se le mutazioni che stanno emergendo abbiano un effetto sulla trasmissibilità del contagio, sulla gravità della forma di Covid-19 e sull’efficacia di vaccini e cure. Sarebbe ora di costituire una rete di laboratori che facciano sequenziamento dei genomi. Inoltre deve essere chiaro che ogni test molecolare che facciamo si basa su diversi geni e diverse sequenze del virus, e la diffusione di nuove varianti potrebbe renderli meno efficaci nell’individuare i positivi. Un esempio rende bene il concetto. Il test usato nel Regno Unito è basato su determinati geni (sono tre ORF1ab, N e S), ma la variante chiamata B.1.1.7 si è dimostrata in grado di eludere la rilevazione tramite il gene S. Ciò significa che quegli specifici test risulteranno sì positivi per i geni ORF1ab e N, ma non per S. Mappare le varianti in Italia equivale a sapere anche quando ci possiamo fidare dei test che usiamo, considerato che ognuno si basa su determinate sequenze genetiche.
Urge la costituzione, il coordinamento e il finanziamento di una rete che faccia quanto richiesto dall’OMS sul sequenziamento dei genomi. Infine ritengo opportuno reintrodurre i controlli alle frontiere, perché non si possono rischiare vite umane, assetti economici, stabilità democratica sul dogma del “tutto aperto” perché ce lo chiede l’Europa, la modernità e la globalizzazione.
Erasmo Venosi