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Lettera aperta a Draghi da una docente del sud

Pubblichiamo una lettera aperta, passionale e forte scritta sulla pagina Facebook dalla docente Flora Colafati, prof del sud.

“Professor Draghi,
Lei se la ricorda la sua maestra di Matematica delle Elementari? Io si. La Maestra Michelina. E mi ricordo la sua magistrale lezione quando ci spiegò le addizioni. Quel “cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia” fu il più grande insegnamento di vita che potessi mai ricevere a 7 anni.
Con il passare del tempo, ho capito che in fondo il mondo è un’addizione. Perché gli addendi li puoi cambiare come ti pare. Il risultato non cambia veramente mai.
Ed oggi lei è per me un addendo. Come lo era il Ministro Azzolina. Ed entrambi siete la dimostrazione che teneva ragione la Maestra Michelina: pur cambiando voi, e pur cambiandovi tra di voi, non cambia poi il risultato.
E quel risultato che non cambia, oggi siamo noi: i Docenti Italiani.
Ma dico io…con tutti i grandi problemi e gli eterni nodi mai sciolti in questa Nazione che soffre e che stenta…mai possibile che il peggiore dei mali siamo noi Insegnanti? Le sembra plausibile che, mentre una forza politica che dovrebbe sostenerla chiede ai propri simpatizzanti se Lei è all’altezza di un Ministero alla Transizione Ecologica e due Ministri litigano prendendosela con il Governo, che poi siete voi, i riflettori sono tutti puntati su noi Insegnanti? Il che mi starebbe anche bene, in tutta onestà e senza falsa modestia, se fosse per ringraziarci o quantomeno per renderci il giusto merito. Ma no invece! Nel pieno di una pandemia così grave da averci privato di una sostanziale libertà personale e di azione, ad un anno esatto da un chiusura che abbiamo subito ma dietro cui non ci siamo mai nascosti, ci presentate il conto di ore di lezione secondo voi perse. Io personalmente le uniche ore che ho perso sono state quelle di sonno. A programmare attività, a formarmi sulle più innovative piattaforme digitali, a correggere compiti. A sostenere colleghi più impacciati. A consolare alunni impauriti e spaventati. Ovviamente tutto questo dopo le 14:00. Al termine di lezioni regolarmente svolte.
Ci volete a lavorare durante i fine settimana.
Mi sta bene. Ma ridateci prima quelli che vi siete presi. E vi assicuro che da Marzo ad oggi ve ne siete presi tanti. Io lo capisco che siamo diventati il tappeto sotto cui ora nascondete la polvere dei tanti, troppi fallimenti politici.
Ma c’è un limite a tutto. C’è un limite a questo atteggiamento impunito con il quale approcciate ancora una volta la nostra categoria. E questo limite, Professor Draghi, Lei lo ha già superato. Scenda dalla autoreferenzialità della sua cattedra. Ed entri in una classe. La mia se vuole. Troverà alunni preparati. Per l’interrogazione e per la vita. Troverà meno fragilità di quanta ne pontificate. Perché sa Professor Draghi. Quelle ore di sonno perse e quei fine settimana che non abbiamo più goduto, noi li abbiamo dedicati a chi chiedeva aiuto. Li abbiamo dedicati ai nostri alunni. E alle loro famiglie. Spesso trascurando le nostre.
E tralasciamo le ore, anche 13 al giorno, trascorse dinanzi ad uno schermo. Tra lezioni, attività scolastiche ed impegni collegiali, abbiamo consumato sedie e poltrone. Occhi e orecchie. Nell’indifferenza totale di chi doveva tutelarci ed indirizzarci. Facile ora annunciare rimodulazioni orarie. Recupero per fasce. Calendari Scolastici rimaneggiati. Tanto a Lei che importa se a conti fatti il nostro lavoro lo abbiamo svolto comunque e bene? Tanto a Lei che importa se ci siamo attrezzati in ogni modo, e a spese nostre, per non lasciare indietro nessuno? Tanto a Lei che importa se abbiamo scrutinato, licenziato e diplomato alunni che ancora ci ringraziano?
Prima di venire a parlarci di DOVERI, si ricordi che esistono anche i DIRITTI.
Ed i nostri, io non sono più disposta a farli calpestare.
P. S. Le scrivo dal Sud.
La volevo informare che anche qui abbiamo energia elettrica. Acqua corrente. Linea telefonica. Connessione ad Internet. E persino il PC.
Mangiamo nei piatti di ceramica. Usiamo le posate. Ed i vestiti non li laviamo più al fiume già da qualche anno.”

 

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