Principale Arte, Cultura & Società Poesia. ‘Pane e…Quotidiano’

Poesia. ‘Pane e…Quotidiano’

Quotidiano

La Poesia è per tutti

foto di copertina  Federico Garcia Lorca

… la poesia non si mangia ma può diventare indispensabile

Rubrica culturale del Corriere di Puglia e Lucania, a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte

L’intento della rubrica è quello di sfatare l’idea che la poesia sia qualcosa di astruso e che possa piacere o non piacere. In realtà la poesia è nelle nostre vite più di quanto noi possiamo immaginare. Basti pensare alla commistione della poesia con le altre forme artistiche, per esempio alla musica pop, di cui essa è un riflesso.

Proporremo, ogni giorno, pochi grammi di poesia, legati ad un fatto del giorno o ad una data da ricordare sperando che, tra le mille incombenze quotidiane, ogni Lettore, possa ritagliarsi qualche minuto per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.

Buona Poesia!

Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte

redazione@corrierepl.it

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Il 2 marzo 1943  moriva ad Aushwitz Gertrud Chodziesner, poetessa tedesca, nota con lo pseudonimo di Gertrud Kolmar. Era nata a Berlino nel 1894 in un’agiata famiglia alto-borghese. La sorella Hilde la descrive assai poco interessata alla vita mondana, e dedita alle letture ed allo studio. Totalmente ignorata in vita e tardivamente apprezzata dopo la morte ad Auschwitz, Gertrud Kolmar  è considerata oggi una delle poetesse tedesche di origine ebraica di maggiore importanza del secolo scorso. Poco si sa della sua vita, ma il suo canto così crudelmente spezzato, incanta non solo per l’alto livello poetico ma anche per il coraggio di parlare apertamente in un periodo in cui molti poeti ed intellettuali si erano defilati davanti alla repressione culturale nazista.   La produzione poetica della Kolmar consta in tutto di 450 poesie, molta parte delle quali non è stata ancora tradotta in italiano.

La straniera

La città è per me un vino colorato in un levigato calice di pietra
che sta e brilla davanti alla mia bocca
e specchia la mia immagine nella sua cavità.

Esso riflette il suo cerchio più profondo che ognuno conosce, ma nessuno sa perché, ciechi, ci colpiscono tutte le cose a noi quotidiane e usuali.

Davanti a me la rigida parete delle sagge case con il suo «Qui da noi…» sicuro di sé;
il volto di vetro della piccola bottega
si chiude riservato: «Io non t’ho chiamata.»

II selciato ascolta e cerca a tentoni il mio passo pieno di sospetto e di curiosità
e dove il legno si unisce con la colla, là si parla una lingua che non è mia.

La luna palpita rossastra come un assassinio sopra il corpo lontano, sopra la parola smarrita, quando, la notte, contro il mio petto s’infrange il respiro d’un mondo straniero

 

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