di Chiara Rantini
Talvolta, quando siamo tristi, abbiamo voglia di piangere ma non ci riusciamo; allora inconsapevolmente cerchiamo qualcosa che ci aiuti a liberare le lacrime perché sentiamo la tristezza come un peso insopportabile. Ecco che la letteratura (ma anche l’arte figurativa, il cinema) viene incontro a questa richiesta.
Non è affatto vero che la tristezza si deve combattere proponendo qualcosa di allegro: la tristezza come stato emotivo deve avere la possibilità di manifestarsi, reprimerla è un grande errore. Però la letteratura e in particolare la poesia può realizzare un grande miracolo ovvero quello di trasformare un sentimento scomposto e incontrollato in un’opera di ordinata bellezza.
Quindi se vi sentite tristi non scacciate le lacrime: le lacrime sono la manifestazione di un disagio interiore che trova finalmente il modo per rendersi visibile, per uscire all’esterno e quindi lasciare l’interno senza soffocarlo.
Il pianto va inteso quindi come catarsi e come recupero emotivo, ma non solo; il pianto è anche una richiesta di aiuto rivolta all’esterno. Ricordiamo che, interno e esterno, quando parliamo della persona umana, non sono separati ma complementari.
Dal pianto degli eroi greci nelle Tragedie alle liriche dei nostri giorni, la poesia ha sempre accolto le lacrime come qualcosa di indispensabile alla comunicazione artistica. Abbiamo scelto una selezione di tre poesie appartenenti a periodi storici diversi e ad esse abbiamo associato due fiori che sono simbolo di di pianto e di tristezza: la calla e l’helenium.
Secondo la mitologia greca la calla è nata dalle gocce di latte materno della dea Era cadute sulla Terra. Secondo alcune tradizioni apocrife, nella vicenda di Adamo ed Eva si racconta che quest’ultima, cacciata dell’Eden con Adamo, abbia dato origine alla calla versando lacrime sulla terra. Nella tradizione religiosa cristiana, in ogni modo, della calla viene narrato che sia nata dalle lacrime versate dalla Vergine Maria ai piedi della Croce.
HELENIUM: Secondo la mitologia greca la pianta dell’Helenium germogliò dalle lacrime di Elena, moglie del re Menelao. Secondo Plinio questa pianta egiziana prese il nome da Elena in quanto nacque dalle sue lacrime quando approdò – Pausania dice dopo la caduta di Troia – su un’isola del mare Egeo.
Secondo un’altra tradizione, Elena, quando venne rapita daParide per essere portata a Troia, pianse e dalle sue lacrime nacque il fiore dell’helenium.
In questa selezione di testi il pianto è uno degli elementi principali. Nella prima lirica di Torquato Tasso la natura partecipa del dolore del poeta per la partenza dell’amata. Nella seconda poesia scritta da Jiří Orten, poeta boemo del XX secolo, la tristezza rende partecipe nuovamente la natura (gli alberi) così come nell’ultima di Aleksandr Blok dove lo scroscio di pioggia finale non lava via l’angoscia della vita.
I TESTI
MADRIGALE
Qual rugiada o qual pianto,
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?
(Torquato Tasso)
ALBERI, ANNI
Alberi degli anni, come state?
La prima ed ultima volta, ora
so che il pianto vi irrora,
e che siete fatti di legno
perché il fuoco si accenda meglio,
perché i nostri occhi nebbiosi
vi guardino come bruciate,
alberi, alberi annosi!
In voi si rifugiavano fiere,
la gioia in voi mi ha negato
un domatore spietato,
tra voi s’è perso ogni mio avere,
da voi viene l’acqua sorgiva,
da voi l’alba che il giorno avviva,
dentro voi il sole in tramonti sereni,
alberi, anni, di ruggine pieni!
Ah potessi un momento ancora
fissare il cielo dell’aurora,
che comincia a rosseggiare,
e che si celebri il festino,
la libertà mi versi il suo vino,
e il tarlo di un letto non danni
quel che ho tentato di salvare
per ventidue anni!
(Jiří Orten)
IO MI RAMMENTO
Io mi rammento delle lunghe pene:
la notte si spegneva alla finestra;
le sue braccia piegate rilucevano
appena appena nel raggio del giorno.
E la vita, sofferta inutilmente
torturava, bruciava, annichiliva;
e dilatandosi come un fantasma,
segnò il giorno i contorni delle cupole;
e si accrebbero sotto la finestra
i veloci passi dei viandanti;
e nelle grigie pozze si spargevano
cerchi sotto le gocce della pioggia;
e la mattina durava, durava
e ci affliggeva una vuota domanda;
e nulla fu risolto dallo scroscio
primaverile di impetuose lacrime.
(Aleksandr Blok)