Per i Vescovi italiani, riuniti per la sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente, “l’esplosione di vere e proprie “faglie sociali” richiamano a un forte senso di responsabilità che deve accomunare le istituzioni, sia quelle civili sia quelle religiose”.
di Claudio Gentile
Il difficile momento che l’Italia e il mondo intero stanno attraversando a causa della pandemia e del suo drammatico “effetto domino” sulla salute, sul lavoro, sull’economia e sull’educazione è stato al centro della riflessione dei vescovi italiani riuniti per la sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente, che si è svolto a Roma dal 22 al 24 marzo 2021, sotto la guida del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Lo stesso presule introducendo lo scorso lunedì i lavori del parlamentino dei vescovi aveva sottolineato fortemente le “fratture” provocate dal Covid, in particolare le nuove povertà e la questione educativa. Per l’Arcivescovo di Perugia altri rischi legati alla pandemia sono da cercarsi “nell’espandersi dei tentacoli dell’usura, della criminalità e delle mafie”.
Nel comunicato finale dei lavori i vescovi “hanno ribadito la necessità di politiche adeguate e coraggiose, capaci di sostenere cittadini e famiglie, in particolare i più fragili, e di dare anima e corpo alla ripresa. È indispensabile promuovere, per quanti si trovano in situazioni debitorie, un’efficace rete di supporto e di consiglio che permetta loro di orientarsi correttamente ai primi segnali di crisi senza attendere l’aggravarsi di situazioni difficili”.
I vescovi hanno poi espresso apprensione per il tema della denatalità, “che risente anche delle conseguenze socio-economiche della pandemia e del clima di disagio e incertezza che essa porta con sé”. È quanto mai necessario quindi “lavorare, ognuno nel proprio ambito di competenza, per restituire fiducia e speranza ai giovani”.
In merito al piano vaccinale i vescovi hanno ribadito l’importanza della campagna in atto “da sostenere e implementare, a beneficio della collettività”.
Il comunicato si sofferma poi su questioni più strettamente ecclesiali discusse durante l’incontro.
“Per i vescovi – si legge infatti nel testo – è il momento di abbandonare quelle sovrastrutture che sanno di stantio e di ripetitivo, di recuperare il senso della verifica e il valore della progettualità che impongono scelte concrete, a volte di rottura o, comunque sia, non in linea con il ‘si è sempre fatto così’”. Per i pastori italiani “se la grande sfida è la conversione missionaria della pastorale ciò che serve è un metodo sinodale che aiuti a mettere a fuoco il mutamento in corso, a intercettare le istanze delle diverse componenti del Popolo di Dio, a valorizzare le peculiarità pastorali” delle parrocchie e delle realtà ecclesiali. “In quest’ottica – hanno convenuto i vescovi – il cammino sinodale, sollecitato da Papa Francesco, non si configura come un percorso precostituito, ma come un processo, scandito dal ritmo della comunione, da slanci e ripartenze”. Il cammino sinodale “più che un contenuto, deve configurarsi come uno stile capace di trasformare il volto della Chiesa che è in Italia”. In quest’orizzonte, “è necessario combattere ogni autoreferenzialità e individualismo, non avere paura di mettersi in discussione e di rendere i laici protagonisti di un cammino che ha nell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco la bussola e nell’esperienza del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze una base da cui partire”.
Per quanto riguarda l’incontro di Bari sul Mediterraneo dello scorso anno i vescovi hanno ribadito il valore e il significato di un evento che non si vuole isolato nella storia: “Quella di Bari, infatti, è stata la prima tappa di un progetto che bisognava intraprendere” perché “solo tessendo relazioni fraterne è possibile promuovere il processo d’integrazione”. Pertanto “nonostante le limitazioni imposte per il contenimento del virus, in questo anno i Vescovi dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum hanno concordato sulla necessità d’individuare piste per far sì che l’evento del 2020 non resti un unicum, ma apra cammini di riflessione e di azione a livello locale e internazionale”.