Principale Politica Diritti & Lavoro La voce delle donne metalmeccaniche e le discriminazioni di genere

La voce delle donne metalmeccaniche e le discriminazioni di genere

È diventata ormai linguaggio comune l’affermazione “uguaglianza di genere”. Per questo motivo, credo sia opportuno spendere due parole sul Coordinamento delle Pari Opportunità della Uilm, attivo su tutto il territorio nazionale, per comprendere le principali difficoltà di una donna lavoratrice nel settore metalmeccanico e per cercare azioni volte a migliorare la loro condizione di vita privata e lavorativa, affinché si arrivi ad una vera e propria uguaglianza. La priorità è concentrata al “no alla violenza sulle donne”, anche sul posto di lavoro. Bene ha fatto la Uilm con il rinnovo del contratto nazionale.

Significativi interventi dimostrano l’attenzione dovuta, rivisitando il concetto stesso di violenza considerata non più solo nell’atto fisico, ma includendo lo stalking e la molestia riconosciuta anche oltre le ore lavorative, comprese le minacce verbali o con qualsiasi altro strumento di comunicazione utilizzato (email, telefonate, messaggistica varia). Inoltre, una donna vittima di violenza ha diritto ad astenersi dal posto di lavoro con un congedo retribuito di 6 mesi rispetto ai 3 mesi previsti per legge. Le difficoltà di una donna lavoratrice, soprattutto metalmeccanica, però, devono fare i conti anche con alcuni comportamenti di errato stereotipo. La prima disuguaglianza di genere è infatti proprio quella analizzata sotto l’aspetto occupazionale. Quello meccanico è un mondo assegnato per immaginario collettivo all’essere maschile. Le cause? Sarebbero innumerevoli, a partire da una distorta visione che offriamo ai nostri figli o figlie già dalla tenera età, sia nel mondo scolastico che quello della famiglia, dove la madre solitamente è casalinga o comunque se lavora rientra nei ruoli canonici femminili e magari anche part time, proprio per la mole di doveri familiari che la inducono a decide di non seguire una carriera lavorativa, con una disponibilità ridotta ad un part time o a contratti a tempo determinato. Ma, a dire il vero, capita anche spesso che la donna venga esclusa da una candidatura semplicemente perché ritenuta ancora “troppo fertile” e di conseguenza vista come un impegno fiscale aggiuntivo per eventuale futura gravidanza. Tuttavia, ammettendo che si riesca a superare queste difficoltà, la donna si ritrova a far fronte alla disparità salariale, il cosiddetto “Gender pay gap”, che evidenzia il divario retributivo fra uomo e donna anche in presenza di parità di merito e/o di mansioni.

Le cause? Anche qui molteplici, ma che in sintesi si riduco in tre punti: 1. tasso di occupazione, 2. ore lavorate effettive, 3. paga base. Tutto si racchiude in una cultura generale errata, soprattutto ben radicata nel Mezzogiorno, che vede la donna spesso come unico assegnatario di doveri familiari, cura dei figli, o di componenti particolarmente bisognosi di delicate attenzioni. Inoltre, il nostro territorio è caratterizzato da innumerevoli disservizi principali dedicati all’assistenza sociale (asili nido, tempo prolungato nelle scuole, strutture per anziani o disabili). Esiste anche la discriminazione multipla: proviamo ad immaginare una donna laureata di 25 anni che vive al Sud. Ebbene lei si ritroverà ad affrontare tre discriminazioni contemporaneamente e cioè quella generazionale in quanto giovane, quella di genere in quanto donna e quella territoriale in quanto territorio ostile al suo inserimento nel mondo del lavoro, visto anche l’altissimo tasso di disoccupazione generale in cui versa, aggravato da questa terribile situazione pandemica.

Coordinatrice Pari Opportunità Uilm

Doriana Caleandro

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