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Serve una tassa “di solidarietà” per finanziare la ripresa. Lo dice il Fondo monetario internazionale

L’imposta, temporanea, dovrebbe gravare sui redditi più alti o sui grandi patrimoni. I vaccini sono “il miglior investimento possibile”, in grado di ripagarsi da soli.

Una tassa di solidarietà per finanziare le spese e i sostegni necessari a combattere la crisi scatenata dal coronavirus. L’idea è del Fondo monetario internazionale che, nel suo Fiscal Monitor, invita “le autorità politiche a considerare un contributo temporaneo per la ripresa dal Covid-19, imposto su redditi alti o grandi patrimoni”. L’obiettivo è ridurre le diseguaglianze che sono state esacerbate dalla pandemia, con poche grandi imprese che hanno accumulato utili enormi e giovani, donne e lavoratori meno qualificati che hanno invece pagato il prezzo più alto. Un contributo che, affermano i tecnici dell’istituto di Washington, dovrebbe essere accompagnato da una “riforma della tassazione domestica e internazionale, in particolare quando la ripresa avrà preso ritmo”.

Puntare sui vaccini, incalza il Fondo, è in questo momento il “miglior investimento possibile”. Secondo l’Fmi, “se la pandemia globale sarà posta sotto controllo tramite le vaccinazioni, il rafforzamento della crescita economica porterebbe oltre 1.000 miliardi di dollari di entrate aggiuntive alle economie avanzate da qui al 2025 e permetterebbe anche risparmi maggiori sul fronte delle misure di sostegno”. In questo modo, rileva il rapporto, “le vaccinazioni contro il Covid-19 si pagherebbero da sole, fornendo un eccellente valore all’investimento di denaro pubblico”.

I conti pubblici restano in generale sotto controllo, grazie anche ai bassi tassi d’interesse. E questo nonostante le misure di sostegno all’economia messe in campo per contrastare i danni economici provocati dal coronavirus abbiano spinto il debito pubblico mondiale a un livello record del 97% del Pil nel 2020. E il dato è stimato aumentare ancora fino al 99% del Pil a fine 2021.

Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto tra debito e Pil salirà al 157,1% nel 2021 per poi cominciare a scendere negli anni successivi, ma è destinato a rimanere sopra il 150% almeno fino al 2026. Nel dettaglio, il dato calerà al 155,5% nel 2022, al 155,1% nel 2023, al 153,17% nel 2024, al 152% nel 2025 e al 151% nel 2026. Il rapporto tra deficit e Pil si attesterà invece all’8,8% quest’anno, prima di ridursi al 5,5% nel 2022, al 3,8% nel 2023, al 2,2% nel 2024, al 2% nel 2025 e all’1,8% nel 2026.

I conti italiani torneranno a registrare un avanzo primario, al netto cioè delle spese per gli interessi sul debito, soltanto nel 2024. Il Fondo prevede infatti che il dato resti in rosso per il 5,6% nel 2021, il 2,5% nel 2022 e lo 0,9% nel 2024. Si avrà invece un avanzo dello 0,6% nel 2024 e dello 0,7% nel 2025 e nel 2026.

AGI

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