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“Lo stupore è lo stato d’animo di chi guarda Dio”, dice Papa Francesco

Dopo  dure settimane di restrizioni e chiusure a causa della pandemia, Francesco è tornato ad affacciarsi alla finestra del suo studio per il Regina Coeli. 

Un conto è vedere, un altro guardare, azione che implica un atto di volontà. Guardando si capisce ciò che si vede, e se si guarda a Dio si è stupiti. Lo ha detto Papa Francesco durante la recita del Regina Caeli, rivolgendosi per la prima volta dopo molte settimane alla gente tornata a radunarsi in Piazza San Pietro.

Nelle settimane dopo la Pasqua, ha ricordato prendendo spunto dal racconto evangelico, ai discepoli di manifesta Cristo in un incontro la cui descrizione “contiene un particolare”. Questo: “gli apostoli per la grande gioia ancora non credevano”. Sopraffatti dalla gioia, insomma, non riuscivano ancora a capacitarsi di cosa fosse successo. Solo dopo aver capito che cosa succedeva avanti ai loro occhi, passarono dal vedere al guardare e questo permise loro di essere “stupiti” da ciò che vedevano. Questo perché “l’incontro con Dio va oltre la gioia, giunge allo stupore”. 

“E’ bene non dimenticare questo stato d’animo”, ha commentato il Pontefice, “lo stupore: è tanto bello“.

Dopo  dure settimane di restrizioni, chiusure e zone rosse, a causa della pandemia, Francesco è tornato così ad affacciarsi alla finestra del suo studio per ricordare una sfumatura spesso dimenticata del percorso dell’anima a Dio.

Ma c’è anche un aspetto concreto della fede, ha ricordato prima della preghiera mariana: anche nel Vangelo Cristo di appalesa e si lascia toccare, oltre che vedere, e mangia – atto materiale per eccellenza – con gli apostoli. Ugualmente questa è la giornata in cui ci si vede, ricorda il Papa, senza la mediazione dello streaming.

“Grazie a Dio possiamo ritrovarci di nuovo in questa piazza per l’appuntamento domenicale e festivo, quasi sospira, “Vi dico una cosa: mi manca la piazza quando devo fare l’Angelus in Biblioteca. Sono contento”. La catechesi ruota attorno a tre verbi, che caratterizzano la pagina odierna del Vangelo, in cui si narra lo stupore dei discepoli di Emmaus e degli altri riuniti nel Cenacolo, quando Gesù appare loro salutandoli con “Pace a voi!”. Essi credono di vedere un fantasma ma Cristo mostra le sue ferite e dice: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi”.

Poi per convincerli, chiede del cibo e lo mangia sotto i loro sguardi sbalorditi. D’altra parte, sottolinea il Pontefice, l’incontro con Cristo vivo stupisce sempre e sempre riempie di gioia, anzi, va oltre l’entusiasmo, oltre la gioia, è un’altra esperienza che si comprende solo se vissuta in prima persona.

“Guardare, toccare e mangiare – afferma il Pontefice – sono le tre azioni che possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo”, tre verbi di amore che mettono al riparo da tentazioni come l’indifferenza, la distanza da chi soffre, l’isolamento. Infatti “Guardare non è solo vedere, è di più, comporta anche l’intenzione, la volontà. Per questo è uno dei verbi dell’amore. La mamma e il papà guardano il loro bambino, gli innamorati si guardano a vicenda; il bravo medico guarda il paziente con attenzione… Guardare è un primo passo contro l’indifferenza, contro la tentazione di girare la faccia davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri”.

Il secondo verbo su cui il Papa si sofferma è “toccare”.

Gesù, nel brano del Vangelo, invita infatti i discepoli a toccarlo per constatare di non avere di fronte un fantasma e lo stesso fa con noi, indicandoci che la relazione con Lui e con i fratelli “non può rimanere a distanza”. In altre parole “non esiste un cristianesimo a distanza. L’amore chiede la vicinanza, il contatto, la condivisione della vita. Il buon samaritano non si è limitato a guardare quell’uomo che ha trovato mezzo morto lungo la strada: si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e l’ha portato alla locanda. E così con Gesù stesso: amarlo significa entrare in una comunione di vita, con Lui”.

Quanto al mangiare, che esprime bene la nostra umanità nella sua più naturale indigenza, cioè nel bisogno fondamentale di nutrirsi, Francesco rimarca anche che tale azione, se fatta insieme, in famiglia o tra amici, diventa anche essa espressione di amore. Di esempi che ritraggono Gesù presente in questa dimensione conviviale ce ne sono molti nel Vangelo, al punto, afferma il Pontefice, che “il Convito eucaristico è diventato il segno emblematico della comunità cristiana”. Da qui, l’esortazione finale a tutti i cristiani a lasciarsi trasformare dall’amore di Cristo per poter amare e dunque guardare, toccare e nutrire gli altri come nostri fratelli e sorelle.

Infatti “uesta pagina evangelica ci dice che Gesù non è un “fantasma”, ma una Persona viva. Essere cristiani non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con Lui, con il Signore Risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di Lui e, trasformati dal suo Amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle“.

AGI – Agenzia Italia

 

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