Di Erasmo Venosi*
Il problema visto le cifre destinate alla ricerca nel PNRR è comprendere come sia potuto accadere, che un ex banchiere centrale, alunno di Federico Caffè abbia potuto legittimare questo esito dopo averne esaltata la strategicità in svariate interviste.
Il riferimento è alle briciole date dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza alla ricerca. Soprattutto quella di base. Le scelte del PNRR nel settore ricerca dimostrano il poco interesse, per una Italia che ogni anno genera 9 mila dottorati di ricerca contro i 15.000, in Francia e i 28.000 in Germania). Abbiamo appena 75 mila ricercatori pubblici contro 110.000, in Francia e 160.000 in Germania. Del Piano Amaldi non frega nulla! Ricercatori, scienziati dopo un anno di lotta, di petizioni, lettere ora leggono nel PNRR solo briciolette. Meno dei fondi promessi dal Ministro Manfredi del Conte II. Investire in ricerca equivale, a favorire l’investimento sui giovani. Significa garantire libertà di accesso a fondi pubblici con valutazioni competenti sulle loro ricerche.
Un finanziamento congruo che avrebbe consentito la nascita di nuovi laboratori di ricerca, nuovi team di ricerca. Quasi sicuro, che pochi dei parlamentari sanno che in genomica l’Università di Sassari è al 1 posto nel mondo. Sul rischio e la storia delle eruzioni del Vesuvio la Federico II di Napoli è arcinota in tutto il mondo e anche, per la robotica. In geologia gli italiani sono subito dopo gli Stati Uniti. Eccellenze nello studio sulle frane. I vortici ciclonici su Giove sono stati descritti per la 1 volta da astrofisici italiani. Vedere la copertina di Nature! Sulle scienze dell’antichità la Sapienza è ai primi posti al mondo. Che cosa produce il PNRR nel settore della ricerca? L’Italia sconta un notevole ritardo rispetto ai valori della media Ocse (2,4%), per quanto riguarda gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo. In Italia sono pari all’1,4% del Pil nazionale (dati del 2018), di cui 0,9% la componente privata e solo lo 0,5% quella pubblica. I finanziamenti pubblici a propria volta sono divisi in ricerca di base (0,32%) e ricerca applicata (0,18%) che in termini assoluti corrispondevano nel 2019 a un investimento statale di 9,3 miliardi di euro (6 circa in ricerca di base e 3 in ricerca applicata). I paesi europei destinano queste percentuali alla ricerca: Germania investe 30 miliardi di euro pubblici in ricerca (l’1% del Pil), la Francia 18 miliardi (0,75%), mentre dal loro settore privato arrivano rispettivamente investimenti pari al 2,1% e all’1,4% del Pil. Rapportata a ogni cittadino: Italia 150 euro/anno, Francia 250 euro/anno , Germania 400 euro/anno. Numero di ricercatori ogni 1000 abitanti La bozza del Recovery Plan menzionava esplicitamente il Piano Amaldi, fisico del CERN di Ginevra e professore all’università di Milano-Bicocca, che ha avanzato la sua proposta nel saggio “Pandemia e resilienza”. IL Piano Amaldi peraltro evocato nel testo del PNRR, promosso da 14 autorevoli scienziati ed etichettato come “Piano Amaldi” dal nome del primo promotore, può essere riassunto nello slogan: 15 miliardi alla ricerca in 5 anni. Si legge nel testo del PNRR. IL tessuto industriale e imprenditoriale italiano è fatto prevalentemente di micro, piccole e medie imprese che hanno “ mantenuto bassa la domanda di innovazione, limitando il potenziale di utilizzo (e la relativa valorizzazione) della base scientifica e tecno logica già disponibile” . Gli interventi quindi mirano a “un significativo contributo per ridurre il divario di spesa in ricerca e sviluppo rispetto agli altri Paesi più avanzati, come richiesto anche da eminenti esponenti dello stesso mondo della ricerca italiano “ .
A gennaio nel PNRR erano previsti 11,77 miliardi ritenuti insufficienti dal gruppo di scienziati che con Amaldi avevano redatto il Piano e dopo discussione con il ministro Manfredi del Governo Conte si era arrivati a 15 miliardi. Oggi il colpo basso da parte di questa eterogenea maggioranza intorno a Draghi. I miliardi sono 12,44 così suddivisi: 1,8 al “fondo per il programma Nazionale di Ricerca”, 0,6 per i programmi dei giovani ricercatori, 1,61 per i “partenariati allargati estesi a Università, centri di ricerca, imprese e finanziamento di progetti di ricerca di base” e 1,5 per progetti di interesse comunitario. Una vergogna la quota destinata alla ricerca di base!!
E i restanti 6,93 mld ? Decisi da presunti esperti fuori dal mondo accademico (e figli dei partiti e di interessi costituiti?) e funzionali a opzioni coerenti con le richieste contingenti del mercato e/o di aziende? Infine l’ultima perla è per la ricerca sull’idrogeno verde che di certo non piace alla stragrande maggioranza di chi sostiene il governo e alla quale sono miserrimi 160 milioni. Meno di un millimetro dell’alta velocità che passerà per Vicenza!
*fisico, già docente associato Uni Sapienza