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Dante immenso e divino. Ma dopo il Paradiso cosa ci sarà? Se ne discuterà alla Mondadori con Pierfranco Bruni

Dante supremo. Dante Sommo. Dante venerabile! Perché parliamo ancora delle eredità di Dante? Il sacro e il mito hanno reso divino il poeta che ha trasformato la monotonia della vita in vita nova.
Il Medioevo è un bosco che chiede alla luce di essere penetrato.
Una sensualità mistica che si svela negli spazi del viaggio e raggiunge in un il illimite il senso della profezia. La rivelazione non è soltanto Beatrice che si pone davanti allo specchio.
Un velo con il quale spesso ci si interroga andando oltre il bene e oltre il male.
È anche Francesca che sigilla il cantico nei cantici in un bacio profondo che tocca la carnalità dell’anima trasformandola anima carnale.
I sensi sono incanto. Se ami l’amor è il vero sigillo delle stelle nelle notti buie. Non cantare il verso che suggella.
Suggella nel tempo che trascorre la pazienza degli dei. Il mio Dante è un raggio divino che solca i passi del pellegrino lungo la  inequivocabile misteriosa presenza di Dio.
Antropologia come coscienza dell’anima. In Dante è una metafisica che vive il fascino degli Orienti.
Di cieli stellati è fatta la “Commedia”. Cieli che nascondono le stelle e stelle che riportano al
cielo in luce di riflessi. Una antropologica visione che non può restare impigliata nella teologia.
Superstizione e sortilegio sono camminamenti mistici nel viatico del senso che diventa liberazione
dell’impossibile nel sacro dei cieli lunari e dei cieli d’aurora.
Dante non è una prassi. È l’imprendibile cosmico nella metafisica  dell’anima. Perché la “Vita nova” ha innovato la poesia italiana?
Linguaggi della parola e linguaggi della musicalità del verso sono diventati un emisfero mistico.
 
Una cultura è tale soltanto se ha esistenze da testimoniare. Petrarca ha cercato di risalire al canto prosometrico del greco sentire la parola ed ha sottolineato l’importanza dell’amore nel “Canzonoere”.
Ma la “Vita nova” è unica assonanza nel ritmo e nell’immaginario perché le sue radici sono nella dimensione liturgica mistica del canto di Salomone.
Dante va nel profonda della fedeltà araba e islamica con il volteggiare della musica persiana. Certo, prima della “Commedia” c’era stata la Beatrice velata che poeticamente è molto più incisiva della Beatrice della “Commedia”.
Boccaccio lo aveva intuito immediatamente e come alter ego crea la realtà di Fiammetta. Beatrice e Fiammetta nel Trecento sono una unica medaglia con due risvolti in un unico specchio che porta il velo di Eleonora Duse nella stanza del Vittoriale.
La testa della Duse velata per D’Annunzio è la metafisica di Beatrice e la sensualità di Fiammetta. Non un cortocircuito ma una presa diretta nel canto “mistico e sensuale” che canterà Franco Battiato.
Solo Foscolo, prima del Vate,  con la sua Teresa potrà essere pareggiabile alla unicità del doppio Beatrice – Fiammetra.
D’Annunzio imprigionerà questo doppio sia nel romanzo “Il fuoco” del 1900 sia successivamente nella “Francesca da Rimini” un anno dopo.
Sono una distanza vicinanza le due coordinate filosofiche della virtù e della conoscenza. D’Annunzio giunge comunque a Dante con Dostoevskij filtrato da Nietzsche.
Ovvero andando  al di là del bene e del male. Il paradosso e l’enigma sono le contraddizioni e le confluenze tra un inferno carnale e un paradiso mistico?
È paradisiaco il viaggio di D’Annunzio. Senza coinvolgere la semantica ma nuotando nell’immaginario D’Annunzio è la sintesi estrema che cuce Dante a Foscolo e questi a Dostoevskij nell’assoluto sottosuolo tra
gli dei e i demoni.
La verità non esiste perché non c’è. Esiste la esistenza della percezione. Per questo Dante ha la sua durata.
Abbiamo bisogno di Dio ma anche del Demone. La metafisica è escatologica. La sensualità è percettiva. La recettività è recettività di emozioni.
Se Dante esiste è perché Leonardo e Raffaello si sono appropriati del Medioevo trasfigurando il senso in sensualità.
L’immagine costa più della parola. L’esoterismo di Rossetti è una ontologia che non ha bisogno della teologia e fa vibrare il Dante pitagorico trasformando il cerchio in un triangolo. Immaginario che non cede alla scolastica o al tomismo.
Mai al relativismo. Non esiste un Dante cattolico. Un Dante cristiano certamente sì. Quel cristiano senza chiesa che è il Cristo della “Leggenda del Santo inquisitore”.
Dostoevskij entra nel regno dei morti. Come Dante. Come fece Lee Masters. Come Pound in una creazione che commuove. Si compie un mistero di vita senza peccato come si ascolta nei Karamazov.
Dante e Dostoevskij sono “la bellezza del suo sembiante” in cui l’uomo diventa il centro del paradosso tra l’inferno e il paradiso.
Come ebbe a dire Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov” intorno al contesto vita tempo “La vita è un paradiso, e noi siamo tutti in paradiso, il fatto è che non vogliamo saperne perché se volessimo riconoscerlo la terra
intera diventerebbe un paradiso già domani”.
Dostoevskij è ancora alle porte di Nietzsche ed entrambi sono nella stanza del notturno di D’Annunzio. Ma egli è il Vate e per essere tale si impossessa completamente del Sommo.
Un venerabile immaginario senza il quale lo stesso Dante sarebbe finito ancorato allo scoglio del Medio-Trecento. Dante cerca la luce. Ovvero le stelle.
Ma anche il sole. Le stelle sono Chiari Orientali portati dall’attraversamento dei dubbi che hanno il suono dell’immateriale.
Alle anime beate Dante sembra dire ciò che espresse Dostoevskij in “Delitto e castigo” quando parlò del sole: “Diventate il sole, e tutti vi vedranno: il sole deve essere innanzitutto sole”.
Perché il sole si esprime in dante e in Dostoevskij? Perché è il solo che può riflettere i riflessi della luce
nel flusso dei raggi nello specchio. Il Trecento ha questo esoterico enigma del paradosso che diventerà una “bellezza accecante” (in “L’idiota”).
È la bellezza di Marie in Dostoevskij ma è la bellezza di Beatrice che cede il tempo e lo spazio a Francesca (sensualità eros capriccio bellezza). Il viso che è quel viso che è “straordinario per la sua bellezza e per qualcos’altro ancora…” (sempre nel Dostoevskij de “L’idiota”).
Dante ha, in fondo, già nell’Inferno la chiave per raggiungere il Paradiso. Una raffigurazione “ardita” che diventerà confessione dell’immaginario. Una confessione misericordiosa. O un immaginario misericordioso. Il tutto nella visione del segreto.
Le stelle non hanno rivelazioni segrete. Il sole sì. Le stelle spariscono, si diradano. Il sole tramonta. Il sole muore. Il sole precipita e precipitando si fa ombra.
È l’ombra che scivola sulla terra e si fonde con il cielo e con la terra in un silenzio planato lungo la creazione e l’infinito. Tutto si deposita.
Dopo il Paradiso cosa ci sarà? Dante non rispose e neppure oggi risponde. Dante immenso
e divino! Di questo si parlerà dalla Mondadori di Cosenza.
Giovedì 27 maggio, alla Mondadori di Cosenza, dalle ore 18,30 l’autore Pierfranco Bruni ne discuterà con Carmen De Stasio, Francesco Gaetani, Nando Pace, Leon Pantarei e Mario Pietramala. Coordina Pino Sassano.

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