BARI – Lungi da noi difendere o attaccare qualcuno, sia ben inteso, ed è bene precisarlo, i nostri affezionati lettori lo sanno.
Noi della stampa siamo semplicemente veicolatori del tifo nel senso che se noi scriviamo bene della squadra, i tifosi, subito, provano fiducia nella stessa e, magari, corrono a comprare l’abbonamento perché, evidentemente, prima di aver letto un nostro articolo sono un tantino scettici, così come, al contrario, se ne parliamo male o abbondiamo con la critica, i tifosi, pendendo dalle nostre dita, diventato prevenuti e, magari, l’abbonamento va farsi benedire. E noi – almeno chi vi scrive – da sempre usiamo una tattica, vale dire quella per la quale sin dal ritiro estivo cerchiamo di supportare sempre, a prescindere, la squadra con articoli pregni di moderato ottimismo anche se la stessa è work in progress, con pillole di fiducia anche se qualche volto nuovo, nel vederlo all’opera, non ci convince, ma per una concordia ordinum di ciceroniana memoria, evitando giudizi affrettati, preferiamo anteporre il bene comune all’obiettività sebbene questa ci sia imposta da doveri deontologici, ma lo facciamo solo per un ragionevole breve tempo, non di più, poi torniamo ad essere obiettivi, draconiani ed imparziali. Lo facciamo con il fine di aiutare la società a crescere e di convincere il tifoso ad affezionarsi alla squadra, dunque lo si fa in buona fede. E anche quest’anno non ci siamo risparmiati evitando polemiche per non avvelenare l’ambiente e per dare un modesto contributo nell’infondere coraggio alla società e alla squadra e ai tifosi, ma da adesso basta così. Saremo obiettivi e critici quanto basta.
La famiglia De Laurentiis, sotto l’egida di sua maestà Filmauro, tre anni fa disse “si” alla proposta del Sindaco Decaro presentando la documentazione giusta e completa per acquisirne la totale titolarità, cosa che, invece, non fecero altri, o lo fecero in maniera non convincente, come la cordata asiatica degli Hortono in sella, oggi, al Como, e quel “sì” fece di colpo germogliare nei tifosi mainstream emozioni sopite, speranze celate e ammazzate dalle precedenti gestioni fallimentari (Matarrese la prima, Paparesta la seconda e Giancaspro, forse la più vile, la terza), insomma la “presa della Bastiglia” barese, riaccese in città quell’entusiasmo giusto per ripartire anche perché la società era (ed è) riconosciuta come solida finanziariamente in quanto, all’attualità, è l’unica azienda, attraverso il Napoli, a produrre utili nel calcio differentemente dalle altre che sono sommerse da oceani di debiti (vedasi la Juventus e l’Inter). Insomma una società con fior di imprenditori con la I maiuscola nonostante il periodo difficile pandemico della Filmauro che ha ridotto l’erogazione economica.
Qualcuno, ovviamente, storse il muso, a cominciare da certi tifosi che non vedevano di buon occhio il Napoli (da sempre nemico sportivo storico) come società partner. Si trattava dei più nostalgici, forse quelli che avevano perso il “pane quotidiano” con le precedenti dirigenze, i cargiver quelle che passavano loro notizie in anteprima, biglietti omaggio, favori, insomma coloro i quali erano legati dalla vecchia logica del clientelismo, clientes, costoro, che, avendo perso la bussola, non videro di buon occhio i De Laurentiis, tanto da sentirsi nel dovere, man mano che passava il tempo, di continuare nella loro azione denigratoria verso la famiglia romano-napoletana, verso la squadra, allenatore, verso tutto e tutti. Purtroppo in questa città contraddittoria, se qualcuno perde la bussola si sente autorizzato a sfogare le proprie frustrazioni. E’ più forte di loro, non si può far niente.
Il loro obiettivo, sin da subito, è stato quello di riportare la squadra in serie A e, possibilmente, col tempo portarla in Europa, inutile nascondersi, questo è stato il proposito prefigurato al secondo piano della sede del Comune a luglio 2018, forti anche dei loro risultati sportivi al livello internazionale, visioni, immagini che ai tifosi del Bari di ogni età, anche millenials, sono parse come possibili sogni realizzabili, finalmente, dopo un centennio di briciole, panem et circenses, fatte salve pochissime annate di decente serie A.
Insomma, le prerogative perché il matrimonio andasse in porto c’erano tutte. Finalmente “Madame Bovary” biancorossa, richiusa dal suo ultimo marito nel castello per troppa bellezza, stava per mettere il muso fuori per mostrare tutte le sue grazie fino adesso nascoste da tutti i suoi precedenti mariti che avevano preferito tenerla rinchiusa ad inrughire davanti allo specchio.
E non fa niente che c’era il peso, mal digerito, della doppia proprietà almeno finché non sarebbe cambiato qualcosa a livello federale anche se, stando alle ultime notizie, non cambierà di nulla, anzi, ove il Bari dovesse andare in serie A, i De Laurentiis dovranno necessariamente cedere il Bari nelle mani di qualcun altro come sta facendo Lotito.
Però si sa che il calcio è imprevedibile ed è facile passare dall’euforia alla disperazione più totale. E così, in effetti, è stato a Bari. Si è passati dall’entusiasmo moderato della ripartenza dalla gogna della serie D dove si è affrontato, e vinto, un torneo umiliante (anche per noi della stampa, non credete, lo è stato) con Matteo Scala (quello che con piglio ingeneroso, qualche tifoso lo ha bollato come ”colui che alza il tabellone del recupero a Napoli”: e meno male, visto che almeno lui, volenti o nolenti, ha fatto vincere la D e ha portato il Bari ad un soffio dalla B, ma forse questo a qualcuno sfugge), probabilmente in accordo con i dirigenti napoletani, con una serena passeggiata in Via Sparano, ad un campionato di C in bianco e nero a causa della sfiga che ha fatto si che il Bari si trovasse di fronte una super Reggina che è andata ben al di là delle aspettative, ed una finale playoff comunque conquistata senza sconfitte con un invidiabile record di imbattibilità, però persa maledettamente anche a causa di un gol valido annullato ad Antenucci che, se convalidato, chissà come sarebbe andata a finire.
E da lì, complice anche il mercato disastroso di luglio attuato da un direttore sportivo probabilmente inadeguato, le non convincenti prove dei biancorossi iniziali anche se talune supportate da qualche vittoria, sono cominciati i primo vagiti di un “crack” tecnico e sociologico coi primi mal di pancia dei tifosi a cui, si sa, basta una scintilla per far passare i giocatori da campioni a brocchi. E si, perché se fossero sbarcati in B quella domenica nefasta sulla Via Emilia, sarebbero stati definiti campioni, ma essendo rimasti in C, i tifosi gliene hanno vomitato di tutti i colori. A Bari è così, prendere o lasciare, ecco perché da sempre far calcio, qui, è materia difficile per solo intenditori, esperti e con le spalle larghe e non per avventurieri.
E’ cominciata, dunque, da parte della tifoseria, una volontà nel proseguire con la fiducia verso i De Laurentiis, però a tempo, perché i tifosi del Bari, si sa, non amano attendere e, almeno in questo caso nel quale qualcuno li ha spediti negli inferi, ne hanno ben donde, non v’è dubbio.
Questa appena terminata, prevedibilmente male, avrebbe dovuto essere la stagione del rilancio, della rivincita, della vittoria, ed invece è stata una stagione catastrofica cominciata già male da Cascia quando ci si presentò in ritiro con mezza squadra ancora da allestire e un’altra mezza pronta a lasciare il ritiro, insomma una rivoluzione che, si sa, di norma non porta mai a niente di buono (e così, fatalmente, è stato), e terminata ancora peggio con la caduta libera in campionato e con l’epilogo amaro ed annunciato dei playoff umiliati niente di meno che dalla Feralpi Salò. Mica dalla Ternana.
Il mercato di gennaio, poi, ha dato la mazzata finale, un mercato gestito molto male, malissimo, con l’alibi, però, del ridimensionamento finanziario a causa del covid che ha contagiato tutto il calcio costringendo le società a non effettuare alcune operazioni se non in prestito, ma a Bari si è fatto anche peggio cedendo ben nove giocatori e facendone arrivare solo tre per giunta in precarie condizioni fisiche. E nonostante tutto, De Laurentiis assicurò tre milioni da investire nel mercato di riparazione che, evidentemente, non sono stati gestiti come ci si auspicava.
Da ciò ne è scaturito un Bari gattopardiano per il quale tutto sembrava cambiato ma nulla, di fatto, è cambiato. Un nuovo allenatore, un altro ancora, il ritorno del primo, nuovi giocatori che non hanno inciso più di tanto, un DS, purtroppo, inesperto ed in odor di Giuntoli, il tempo che ci sarebbe voluto per amalgamare il tutto, un inizio tutto sommato confortante sia pur con i primi evidenti limiti di tenuta e di tecnica, fino alla caduta verticale. La dimostrazione che a Bari partire da zero è sempre terribilmente complicato se non deleterio. E’ una scelta molto coraggiosa soprattutto qui dove i tifosi sono già abbondantemente feriti sanguinanti dall’ultimo decennio maledetto.
Da qui i malumori della tifoseria che, non riuscendo a trovare un capro espiatorio, ha puntato l’indice verso la società e verso la sua irritante e mal digerita compartecipazione col Napoli nella comune Filmauro, scelta che, secondo la tifoseria, avrebbe reso il Bari una società satellite del Napoli. La mancanza di risultati, poi, ha fatto il resto fino a sfociare nei mal di pancia più forti dove nessun buscopan avrebbe potuto lenire i dolori. Bari, in effetti, è una grande piazza che meriterebbe essere gestita in modo autonomo, sbagliando magari, ma di testa propria, coi propri passi e non col fiato vesuviano addosso.
Al di là del fallimento sportivo di quest’anno e dei relativi errori ammessi anche dallo stesso presidente per manifesta inesperienza, ci piace discutere, decisi, su un problema preciso che ha infiammato il web: tout court parliamo del Bari che fa affari insieme al Napoli diventando di fatto una “dependance” partenopea o, come qualcuno preferisce chiamarla, una “succursale”, titolo, poi, smentito dai fatti con la promozione in A della Salernitana che prevederà, come è noto, la vendita da parte di Lotito della stessa società campana.
I De Laurentiis un po’ come Re Gioacchino Murat, re francese di Napoli che nell’800 decise di mettere piede a Bari per dare alla luce la nuova città solo che, in quel caso, il Re franco-napoletano ci riuscì subito senza passare da purgatori vari attingendo qualcosa dalle casse del regno partenopeo tanto che nella posa della prima pietra decise di infilarvi un suo anello prezioso a ricordo eterno della sua generosità verso Bari e i baresi, ma poi lasciò la città al suo destino che nel frattempo era diventata una città autonoma, coi suoi autoctoni amministratori, capace di camminare con le sue gambe, ma pur sempre sotto l’egida del regno napoletano. Questa trasposizione storica sarebbe dovuta essere il must secondo tanti tifosi.
I tifosi, adesso, per ripartire e soprattutto per creare quell’entusiasmo perduto, vogliono i “nomi”, pretendono l’esperienza, gente affamata o mai sazi di successi, e non le scommesse, né quelli con la pancia piena sia davanti alle scrivanie che in campo, sono oggettivamente stanchi di passerelle di personaggi approssimativi, mediocri ed emergenti, loro pretendono gente di valore, di rango, a dirigere la società, un DS esperto, un Angelozzi o un Perinetti, tanto per fare dei nomi, con un nuovo Direttore Generale (come Garzelli, tanto per dirne uno), un Michele Giura purtroppo scomparso lo scorso anno, volto di spessore nel Bari di Matarrese, un Antonio Di Gennaro, oggi tutte figure mancanti, altri dirigenti nell’organigramma, insomma tutti professionisti in sella nei posti prestabiliti, pronti a prendere in mano il timone della società e far sentire il proprio polso evitando di lasciare che la stessa venga trasportata dal mare verso la deriva.
E non farà nulla se il nuovo DS del Bari farà affari con quello del Napoli, l’importante è che i due non li facciano con gli stessi conti in tasca.
Transeat sul fatto che la Filmauro sarà il comun denominatore finanziario, del resto non se ne può fare a meno, ma d’ora innanzi, se si vuol recuperare stima e fiducia tra la tifoseria, occorrerà che il cordone ombelicale delle scelte tecniche con la società partenopea venga tagliato per sempre pur mantenendo l’attuale proprietà, almeno fino alla serie B, poi Dio vedrà e provvederà.
Forse qualcuno non lo sa, ma lo rimarchiamo noi: Fabrizio De André scriveva in una delle sue struggenti canzoni che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, che, a volerla interpretare, sta a significare che al Bari non serve sperperare decine di milioni, ma occorre saperli spendere con giudizio, occorre gestire bene la società con gli uomini giusti che, sicuramente, farebbero spendere meno ottenendo una resa decisamente migliore, così come fanno quasi tutte le società. Si veda il Parma: il club è passato in mani americane e con diversi progetti tutti rigorosamente ridimensionati dai risultati della squadra a partire dal nuovo stadio agli investimenti. Krause ha preso il club cercando strade alternative e successi in campo, ha finanche provato a cambiare allenatore, come De Laurentiis, ha rivoluzionato la squadra nei due mercati, ma tutto è stato vano tanto che il responso è stata una dolorosa retrocessione.
Va bene, benissimo, la continuità proprietaria, la città non sarà mai abbastanza grata e riconoscente per aver preso il Bari dal profondo degli inferi e farlo tornare in vita come l’Araba Fenice, va benissimo una proprietà forestiera, come ormai accade dappertutto (le epoche degli Anconetani, dei Rozzi, dei Massimimo, dei Matarrese e dei Viola, e persino dei Moratti, sono terminate, rimane il solo Vigorito), va bene una proprietà che tiene a debita distanza il clientelismo locale e tutto il suo indotto, ma, insomma, che ci si metta in testa, una volta per tutte, che il Bari deve proseguire la sua strada con le sue gambe nella gestione societaria.
Bari, sia pur coi suoi limiti, le sue contraddizioni, il suo tessuto sociale e soprattutto il suo indotto e la miniera ancora sotterrata e mai, ancora, venuta alla luce per colpe, timori e, forse, anche per la politica, deve camminare autonomamente, da sola. Anche sbagliando.
Nessuno dimentichi che a parte la tanta mediocrità transitata da Bari nel corso degli anni, nel “pantheon” biancorosso di sempre sono incastonati come icone bizantine personaggi storici e annate emozionanti che hanno fatto la storia nel Bari. E da lì nessuno le potrà portar via. Nemmeno Gioacchino Murat.
E allora fiducia incondizionata ai De Laurentiis, però meno superficialità e più professionalità e soprattutto meno accordi con il Napoli, autonomia, insomma. I soldi, i tanti soldi, sono importanti e ben accetti ma non sono gli unici indispensabili. I tifosi meritano ben altro che un quarto posto in serie C, che una uscita dai playoff contro una Feralpi Salò (con tutto il rispetto per la società gardiana) un terzo e, forse, anche un quarto anno se si dovesse ricorrere ad una seconda rivoluzione tecnica. Ma soprattutto, se il presidente vuole bene al suo San Pietro, al suo San Gennaro e al suo San Nicola acquisiti, cominci sin da subito a pensare come iniziare a lavorare per un Bari assolutamente vincente il prossimo anno, senza consultarsi con il Napoli. Un quarto anno ancora in serie C non gli verrebbe assolutamente perdonato. Ma soprattutto c’è necessità di chiarezza: capiamo che il momento economico è quello che è per tutti, e allora che lo si dica che gli investimenti, l’anno prossimo, saranno più contenuti o che non si baderà a spese, ma, per favore, chiarezza e sincerità oltre che più professionalità. Bari merita più rispetto, il Bari è una cosa seria non un giocattolo a pile. L’anno prossimo non c’è più tempo per gli errori per i quali perseverare è diabolico.
“Sapientia aedificatur domus, et prudentia roborabitur” si scriveva nella Bibbia: “con la sapienza si costruisce la casa e con la prudenza la si rende salda”.
Massimo Longo