“Siamo stati caricati e colpiti al volto con manganellate anche coi `tondini in ferro pieno´”. La denuncia di un recluso “testimone passivo” delle rivolte nel carcere e della “spedizione punitiva” il giorno dopo ad Ascoli dove fu trasferito assieme ad altri.
«Molti detenuti, alcuni in palese stato di alterazione probabilmente dovuto all’assunzione di farmaci, furono violentemente caricati e colpiti al volto con manganellate anche coi `tondini in ferro pieno´ che si usano per effettuare la battitura nelle celle. Alcuni di questi a cui non fu dato nessun supporto medico morirono nel giro di pochi minuti».
È un passaggio di una lettera scritta da C.C., che si qualifica come uno dei reclusi nel carcere di Modena durante la rivolta dell’8 marzo 2020, alla ministra della Giustizia Marta Cartabia. Il detenuto riferisce anche di pestaggi durante il suo trasferimento insieme ad altre persone nel carcere di Ascoli Piceno e successivi alla morte di Salvatore Piscitelli, il 40enne noto per il suo talento di attore teatrale dal cui decesso è originata la prima delle indagini sulle otto persone morte in seguito alle proteste. In particolare, riferisce a Cartabia di “una spedizione punitiva cella a cella” effettuata da “una squadretta di una decina di agenti”.
“Picchiati da ammanettati e senza scarpe”
C.C. è stato sentito come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Modena dopo avere presentato un esposto il 20 novembre del 2020.
Nella lettera di sei pagine, afferma di essersi trovato “coinvolto seppure in maniera passiva” nella rivolta scoppiata in carcere e “di avere assistito ai metodi di intervento messi in atto dagli agenti della casa circondariale dopo che i detenuti si erano consegnati spontaneamente. Metodi che consistevano in veri e propri pestaggi effettuati tra le due porte carraie e in una sala adiacente alla caserma agenti. Il pestaggio avvenne in uno stanzone dopo che tutti ci eravamo consegnati, dopo che eravamo stati ammanettati e privati delle scarpe”.
“La morte dei detenuti – prosegue – fu successivamente classificata come morte d’overdose dovuta ad assunzione di farmaci, ma la mia domanda personale è: se non fossero stati picchiati al volto e fossero stati condotti in ospedale sarebbero morti?”.
“Di nuovo picchiati nudi nei furgoni”
L’uomo racconta anche cosa sarebbe successo dopo. “Verso le 20 circa, fummo fatti salire senza porre resistenza sui mezzi della penitenziaria e condotti alla casa circondariale di Ascoli Piceno. Alcuni di noi vennero picchiati durante il viaggio a cui partecipò anche Piscitelli”.
“Arrivati ad Ascoli fummo fatti scendere e posti in una serie di furgoni parcheggiati nel piazzale, denudati, senza scarpe e con le porte aperte. Dato l’orario e le temperature basse rimanemmo al freddo per più di un’ora, all’interno dei furgoni fummo nuovamente picchiati. Mi chiedo – commenta C.C. – come mai non furono chiesti i filmati delle telecamere del piazzale di Ascoli”.
Piscitelli morì la mattina dopo il trasferimento, secondo C.C. anche per i mancati soccorsi pure sollecitati dai detenuti. “Il 9 marzo alle 7 e 30 circa – si legge nella lettera – salì una ’squadretta’ in reparto composta da circa 10 agenti, alcuni con casco, scudo e manganello. Cella dopo cella ci picchiarono tutti, una violenza ingiustificata dato che eravamo stati trasferiti da Modena, eravamo arrivati in sicurezza ammanettati e senza scarpe e senza porre resistenza alcuna. Quella di Ascoli fu una vera e propria spedizione punitiva per i fatti occorsi a Modena il giorno prima”.
“Ministro, le porgiamo una mano”
E ancora nella sua lunga narrazione, C.C dice che poco più tardi dopo avere di nuovo chiesto soccorsi per Piscitelli che emetteva “versi di dolore” si sentirono zittire da un agente che li avrebbe invitati a ‘farlo morire’. “Si parla spesso di giusta giustizia e di giustizia garantista – si conclude la lettera a Cartabia -. Le stiamo porgendo una mano, ci consenta di aiutarla ad aiutarci nel costruire un sistema migliore. Da parte mia sarà doveroso chiedere un risarcimento non per me ma per i familiari delle vittime”.
Il ‘Comitato Verità e Giustizia per la strage del Sant’Anna’ sottolinea che “C.C. si interroga sul perché i vari garanti a cui si è rivolto non siano stati interrogati sulla sua denuncia”. E rilancia: “Le recenti indagini su Santa Maria Capua Vetere e il loro esito hanno abbattuto per una volte quella coltre di silenzio che da troppo tempo ricopriva le mura del nostro sistema penitenziario. Bisogna insistere e continuare a chiedere giustizia”.
AGI