Principale Arte, Cultura & Società Musica, Eventi & Spettacoli Che aspettate, inizia lo spettacolo

Che aspettate, inizia lo spettacolo

di Donata dei Nobili

“Ridere insieme” Centro Diurno “Genoveffa De Troia

Vieni a teatro a Monte Sant’Angelo. Venerdì 20 agosto, alle ore 20,30, nel chiostro “Le Clarisse”, ( replica il 23.08, alle ore 20.30) l’associazione “Genoveffa De Troia” presenta il suo lavoro teatrale.

Da quasi un ventennio, il laboratorio teatrale “Ridere Insieme” è uno spazio di gioco, libera espressione e riflessione per la comunità del Centro diurno attraverso cui viene portata avanti una ricerca sulla diversità, che esula i confini della retorica. I frutti di questo lavoro vengono presentati al pubblico come un’occasione di confronto con i rimossi della società contemporanea e di relazione ad altri modi di essere. Va in scena quest’anno “La Collina”. Lo spettacolo reinterpreta le storie dolci-amare di Edgar Lee Masters e le taglienti ballate di Fabrizio De Andrè, arricchendolo di personaggi e temi originali. Il risultato è un racconto corale, che demistifica pregiudizi antichi e nuovi.
L’elaborazione drammaturgica è di Nicola Notarangelo, mentre la messa in scena è il risultato del proficuo lavoro di Michele Notarangelo. I testi e la musica dei canti sono di Fabrizio de André, interpretati dalla chitarra e voce di William Prencipe e dalla tastiera di Raffaele Pio Fidanza.

La coinvolgente elaborazione teatrale si è avvalsa dell’emozionante “Antologia” di Spoon River, una raccolta di poesie che il poeta statunitense Edgar Lee Masters pubblicò tra il 1914 e il 1915.
Il lavoro teatrale è un dramma “dialogante” e ha lo scopo di dar vita a nuovi mondi inclusivi, per scongiurare ogni forma di discriminazione etnica o sociale. Questo impegno drammaturgico è l’invito a guardare e riguardare i vissuti dell’uomo e degli uomini per vederli, comprederli e modificarli.

Sul palcoscenico, ogni attore diventa insegnante per dire che “vedere” è l’esigenza di quest’epoca, molto distratta e assorbita dall’osservare quanto di preoccupante e disumano accade nelle nostre comunità.
Attraverso il teatro, gli attori fanno parlare “i morti” per raccontare ai “vivi” che la “legge” degli uomini è mutevole e può essere modificabile.

A che serve, quindi, alzare muri fisici, culturali, sociali, etnici? A che serve la violenza degli stati e degli uomini? A che serve “bruciare ponti” per impedire il viaggio esistenziale dell’altro?
Gli attori non pensano di comprimere queste riflessioni con le tante banalità etniche e politiche. Per questa ragione, hanno messo in scena i tanti vissuti umani, spezzati.

Questa gente pensa che il teatro possa creare le condizioni e l’opportunità per offrire a “chiunque” la possibilità, la sensibilità e la conoscenza di “vedere”, capire i risvolti degli agiti umani, spesso violenti, e iniziare a costruire il nuovo mondo, che si appresta a mutare le tante certezze della vita passata.

Una forte motivazione è la spinta emotiva dei protagonisti, che si è trasformata in spettacolo teatrale, affinché non si affidi ai “morti” il racconto di un modo di vivere ancora violento, primitivo e disumano.

Durante lo spettacolo, mentre si narrano storie quotidiane di bambini, donne e uomini, emerge l’antica esigenza della non – violenza e il nuovo bisogno di lasciare dormire sulla collina le tante vittime della sragione dei vecchi Stati.
Con il narrarsi teatrale, le “persone” del laboratorio teatrale “Ridere insieme” indicano che c’è il modo per vedere – e non guardare – l’arcaica violenza umana. La loro visione la svelano con l’arte teatrale, che si mostra in un vissuto volubile, in un insieme dialettico di contraddizioni nel quale tutti possono intervenire e mostrare le proprie idee, anche da vivi, senza affidare la propria denuncia al coraggio di parlare dei “morti”.

In questo scenario esistenziale, ancora una volta – e con la sensibilità e l’amore di sempre -, l’Associazione Genoveffa De Troia si ritaglia uno spazio di riflessione e di comunicazione, attorno a uno dei grandi temi della vita quotidiana: la fragilità.

La fragilità – che appartiene alla natura dell’uomo – è però guardata spesso come qualcosa che toglie alla vita valore e dignità. Condizionati come siamo da una sorta di esaltazione del bastare a se stessi, abbiamo paura di riconoscere e mostrare le nostre debolezze, i nostri limiti, il nostro bisogno di accoglienza, di aiuto, di cura.

Eppure Dio stesso ha scelto di abitare la fragilità e di incarnarsi in essa. È entrato nella storia manifestandosi con un corpo che è stato generato, nutrito, accudito, protetto; e poi disprezzato, deriso, ferito e abbandonato. E, quando la sofferenza è diventata troppo pesante, ha chiesto di non essere lasciato solo, manifestando il suo bisogno dell’altro.

Quell’umanità, che Cristo stesso ha voluto pienamente condividere, è un richiamo forte ad accogliere la domanda di presenza, di solidarietà, di vicinanza e, allo stesso tempo, può renderci consapevoli di quanto ogni persona sia bella e preziosa sempre, nella pienezza della forza e della salute come nel bisogno della malattia e della vecchiaia.
Basta un po’ di tempo, un sorriso, una carezza, una presenza silenziosa e paziente capace di ascoltare senza trasmettere fretta o fastidio.

C’è sempre una reciprocità: si dona ma si riceve più di quanto abbiamo donato.
Grazie a tutti, auguri e buona visione.

Donata dei Nobili Monte S. Angelo 

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

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