Principale Arte, Cultura & Società Viaggio tra naturismo e memoria

Viaggio tra naturismo e memoria

Viaggio tra naturismo e memoria

di Cosimo Rodia


Il Basso Salento è una sovrapposizione di immagini primitive, dal fascino misterioso. Per chi scopre l’ultimo lembo di terra della nostra Penisola, non già come turista frettoloso, ma come chi decide di viverlo, scopre delle unicità che fortificano l’idea per cui la zona del Capo di Leuca è una dimensione dell’anima, in cui perdersi per ritrovarsi.


Il viaggio 


Faccio rewind e ripercorro la SS 275, direzione Leuca; lascio alle spalle la Grecìa salentina e l’’aristocratica’ Maglie e mi imbatto in scheletri di ulivi su una terra riarsa; all’altezza di Surano, devio per Ruffano e la vista si perde dietro a sequele di alberi falcidiati dalla malattia, con le istituzioni colpevolmente dormienti e con un danno economico oltre che paesaggistico.
Quando giungo di fronte alla pineta della collina rocciosa del “Mucurune”, mi sembra una cavea di un ideale anfiteatro naturale della valle di Ruffano, Torre Paduli fino a Supersano, e, inaspettatamente, trovo orti lussureggianti, di una terra nera come la pece che nasconde pozzi di acqua cristallina: è la terra del tabacco, del tamburello, delle danze delle spade, della pizzica, di San Rocco, delle cui tradizioni sono impregnate anche le pietre.
Passo, poi, Taurisano, Ugento, antico centro messapico, e arrivo a Torre San Giovanni, alla cui destra si trovano le due punte dello splendido arco della rada di Gallipoli: Punta della Suina (magnifico luogo naturalistico di macchia mediterranea, sabbia, rocce, isolette) e Punta Pizzo (che unendolo diagonalmente col faro sull’isoletta di Sant’Andrea, delimitano la celeberrima insenatura).

Direzione Leuca

Mi incammino direzione Leuca e giungo a lido Marini e appena dopo Torre Pali, col torrione semidiroccato nel mare ed emblema delle scorrerie saracene. Riparto per Torre Vado, fino a Punta Ristola, il lembo più a sud della penisola, per arrivare al faro di Leuca, che con i suoi 102 metri sul livello del mare, benedice i passanti che fanno rotta verso l’Albania, la Grecia e il Medio Oriente (Un occhio amico che guarda benevolmente chi passa nel raggio di cinquanta chilometri!).
Mi sorprendono la roccia arroventata dal sole e i cespugli di capperi, rosmarino ed origano che resistono alla calura africana: quel verde è quasi uno sberleffo o una sfida alle temperature sahariane! E mi accorgo anche che quei luoghi ustionati hanno in realtà una doppia entrata: una da terra, con camminamenti impervi ed odorosi e un’altra dal mare; così torno a Torre Pali, mi imbarco sulla “Isabella” e per qualche ora ho davanti la magnificenza della natura: ho la sensazione che l’Italia sia emersa dalle acque e modellata dalla furia del vento e delle onde.


La grotta del Drago

E così prima di Punta Ristola mi affaccio alla grotta del Drago, alla cui entrata campeggia un grande stalagmite (denominato dente del drago) che si incunea nel mare: una foca monaca vi sostava forse attratta dai pescatori che svuotavano le loro reti; poi, a quella dei Giganti (la leggenda narra che in essa siano stati sepolti i cadaveri dei Giganti uccisi da Ercole Libico); passo dalla grotta delle Tre Porte a quella del Diavolo; giungo, così, a punta Meliso, de finibus terrae, sovrastata dal faro benedicente, dove è visibile proprio in quel punto il misterioso congiungimento dei due mari: Jonio ed Adriatico, con le diverse profondità, colori, sensazioni, ovvero, come due persone sedute fianco a fianco senza abbracciarsi! 

La grotta dei Gabbiani 

Quando risalgo con la “Isabella” l’Adriatico, ecco che sotto alle muraglie perpendicolari di roccia sul mare, scorgo la grotta dei Gabbiani e, poi, la formidabile grotta del Soffio: un anfratto il cui accesso è a livello dell’acqua; entro in apnea e riemergo in una grotta dalla volta regolare e con un fondale meraviglioso: il cuore trabocca di meraviglia! Poi mi immergo ancora per uscire ed ecco che un soffio di aria e acqua mi accompagna fuori, ed è come uscire dal ventre materno; procedo ancora un po’ e mi colpisce la falesia del Ciolo e lì capisco che il Salento è una eruzione di stupore!
Torno sulla terra ferma e il Capo di Lecce si configura in tutta la sua magia, di terra forgiata dal vento e dal mare e dal sole, e appercepisco quanto essa abbia forgiato i suoi abitanti, rendendoli aperti, industriosi, attenti. Infatti, se faccio sintesi dei vari Gisella, Santo, Lucia, Kevin, Katia, Rocco Luca, Antonio, Gianluca, Michela…, mi rendo conto che l’intelligenza pratica, l’intraprendenza, il desiderio di progetti, nelle diverse fasce d’età, contengono gli elementi non solo di una rinascita economica, ma anche della valorizzazione del territorio che è anche la speranza di vivere in un mondo migliore ed accogliente e che la gente del Capo ha nei cromosomi; e che dopo anni di emigrazioni, verso apparenti eldoradi, finalmente questa gente diventa padrona del proprio destino, programmando sviluppo e nuovi sogni.
Allora, capisco anche che il brand del Salento non è solo una trovata dell’industria vacanziera, perché ha dentro una dimensione antropologica esplosiva, del rapporto dalla forte significazione tra l’uomo, l’ambiente e la forza misteriosa, quanto affascinante, della natura.
Davanti alla volta stellata, col libeccio che porta odori d’Africa, ripassando i fotogrammi nitidi di tanta bellezza e primitività, sorseggio un calice di negramaro e al Capo di Lecce e alla sua dimensione di futuro, nel rispetto delle attese umane e delle bellezze naturali, auguro messi abbondanti, semper. Prosit!

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Corriere Nazionale

Radici


(foto: Grotta del Drago)

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