I giudici di Caltanissetta svelano le manovre dietro il movimento che avrebbe dovuto aggregare uomini di Cosa Nostra e personaggi della massoneria deviata e della destra eversiva in un progetto politico da attuare dopo le Stragi del 1992.
C’era Matteo Messina Denaro dietro il partito ‘Sicilia Libera’, il movimento che avrebbe dovuto aggregare uomini di Cosa Nostra e personaggi della massoneria deviata e della destra eversiva in un progetto politico da attuare dopo le Stragi del 1992.
“La primazia di Matteo Messina Denaro all’interno di Cosa Nostra è disvelata dal ruolo assunto nel progetto politico di carattere autonomista, indipendentista-secessionista, di ‘Sicilia Libera’, sorto nel 1993, in quella fase storica di grande fermento partitico seguita al terremoto ‘Tangentopoli'” scrivono i giudici di Caltanissetta che hanno condannato il ricercato di Cosa Nostra all’ergastolo per gli attentati dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
“Nonostante la fugace apparizione del movimento politica ‘Sicilia Libera’, non mancò certo l’imprinting di Matteo Messina Denaro”, si legge ancora nella sentenza, in riferimento al partito che avrebbe dovuto aggregare uomini di Cosa Nostra e personaggi provenienti da ambienti della destra massoneria deviata e della destra eversiva, in un progetto politico da attuare dopo le Stragi del 1992.
Il movimento, come confermato recentemente da alcune intercettazioni in carcere del boss Giuseppe Graviano, naufragò alla vigilia delle elezioni politiche del 1994 in cui ci fu l’exploit elettorale di Forza Italia di Silvio Berlusconi. “L’effigie dell’ultimo dei grandi latitanti di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro” è il tassello da aggiungere “a questo puzzle in fieri delle stragi del 1992” scrivono ancora i giudici della corte d’Assise di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza
“Encomiabile è la determinazione dell’organo di accusa di scavo archeologico e contemporaneo insieme di tutti gli elementi dichiarativi e documentali”, si legge ancora nella sentenza, in riferimento all’accusa sostenuta in aula dal procuratore aggiunto Gabriele Paci, che negli anni novanta era stato in servizio a Trapani, dove ha preso nuovamente servizio la scorsa settimana, divenendone procuratore capo.
La sentenza ha riscontrato nuovamente la genesi della stagione stragista nel dissapore interno a Cosa Nostra nei confronti della sentenza della Cassazione sul Maxiprocesso, emessa il 30 gennaio 1992. “Alla certezza di questo fallimento da parte di Riina erano subentrate nella seconda metà dell’anno 1991 le vere e proprie riunioni deliberative delle stragi da parte degli organi di autogoverno di Cosa Nostra, segnatamente la commissione regionale e quella provinciale di Palermo; quindi, nella prima parte del 1992 e da lì in avanti, erano seguite le altre riunioni a formazione ristretta, alcune delle quali ancora connotate da contenuti deliberativi, la gran parte invece caratterizzata dalla delineazione dei dettagli organizzativi esecutivi dei singoli obiettivi”.
È in quei mesi che “i nomi dei Graviano e di Messina Denaro si intrecciano e intersecano le principali vicende della prima metà degli anni ’90 e soprattutto il passaggio della stagione stragista dal focus siciliano a quello peninsulare nel ’93, si divenendo – con una efficace immagine metaforica – ‘il secco e la corda'”, come riferito dal pentito Giovanni Brusca, che nello stesso periodo, a una richiesta di chiarimenti sulle Stragi, si sentì dire da Riina: ‘i picciotti sanno tutto’.
AGI – Agenzia Italia
Redazione Corriere di Puglia e Lucania