I misteri e gli arcani della vita prenatale. Chi siamo prima di nascere? L’intervista al prof. Salvatore Mancuso-Policlinico Gemelli di Roma
“La nostra vita è un’opera d’arte, che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no.” (Z. Bauman, L’arte della vita)
La vita prenatale rappresenta una tappa dell’esistenza umana ancora avvolta in un’aura di mistero, e sebbene molti passi avanti siano stati compiuti dalla scienza, gli interrogativi dei futuri genitori restano numerosi. Di fatto, come la vita intrauterina possa influenzare il futuro del nascituro è sicuramente uno dei più affascinanti segreti racchiusi durante la gravidanza: un brevissimo periodo rispetto alla estensione della vita eppure così complesso e determinante. Per saperne di più abbiamo intervistato Salvatore Mancuso– Professore emerito di Ginecologia – ha diretto il Dipartimento per la tutela della salute della Donna e della vita nascente dell’Università Cattolica del Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Con Giuseppe Benagiano, già direttore generale dell’Istituto Superiore di Sanità e segretario generale della Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) è autore del nuovo volume “Le sorprese e gli arcani della vita prenatale. Come ci strutturiamo e come comunichiamo prima di nascere” (Rubbettino). Il libro presenta 30 capitoli indipendenti – nel quale vengono affrontate con un approccio scientifico ma in uno stile chiaro e accessibile a tutti – queste e molte altre tematiche legate allo straordinario periodo della vita intrauterina.
Professor Mancuso, con “Le sorprese e gli arcani della vita prenatale” torna alle origini del suo percorso professionale e alla ricerca. Come nasce l’idea di questo libro e a chi si rivolge?
Con Giuseppe Benagiano abbiamo condiviso lunghi anni di lavoro, di studio, di ricerche e di vita accademica, oltre che di fraterna amicizia e adesso, al termine del nostro percorso professionale, abbiamo pensato con questo volume di rivolgerci ad una fascia di lettori quanto mai ampia e multiculturale, per trasmettere le nostre esperienze di studio e di attività professionale maturate negli anni. Intendiamo offrire questo nostro lavoro al grande pubblico colto, ai giovani studenti, alle giovani coppie, ma anche ai medici specialisti ed in formazione, alle scuole di medicina, di ostetricia e di pediatria come strumento di aggiornamento, date le citazioni bibliografiche più recenti riportate nel testo. Soprattutto lo presentiamo alle donne, creature dalle infinite risorse intellettuali ed umane, perché possano sempre più stupirsi nella consapevolezza di avere ricevuto il grande dono di edificare una nuova vita.
Negli anni 60 lei ha fatto parte del team di ricerca dell’istituto Karolinska di Stoccolma, che ha rivoluzionato la concezione del feto visto fino ad allora come mero soggetto passivo. Quali “compiti” svolge il feto nel processo di riproduzione e come “comunica” con la madre?
Durante gli anni iniziali della nostra professione entrambi abbiamo trascorso un lungo periodo di ricerca all’Ospedale Karolinska di Stoccolma, allievi di un grande scienziato, il Professore Egon Diczfalusy. In quella sede abbiamo fatto parte attiva di un gruppo di ricerca sulla gravidanza umana nella fase iniziale del suo sviluppo. Gli studi si sono indirizzati prevalentemente sul ruolo degli ormoni sessuali durante la gravidanza. I risultati conclusivi di queste ricerche hanno dimostrato che il feto e la sua placenta sono i veri responsabili della straordinaria produzione degli ormoni sessuali (soprattutto Estrogeni e Progesterone) e del loro incremento progressivo per tutto il periodo della gestazione. Questo ha rivoluzionato quanto si riteneva in passato ed ha determinato il nuovo concetto della “Unità feto-placentare”, in cui il feto assume un ruolo fondamentale durante il suo sviluppo all’interno dell’utero materno. Questi ormoni, infatti, esercitano molteplici effetti sull’organismo materno, sia per stabilire e rafforzare il rapporto simbiotico del feto con la madre, sia per mantenere vivo un continuo dialogo che ha lo scopo di favorire lo sviluppo fetale, ma anche di contribuire al benessere materno. Studi successivi hanno poi documentato in modo sempre più consistente il protagonismo del nascituro sin dalle fasi più iniziali del suo sviluppo durante la gravidanza.
Già quando la sua struttura è costituita da un piccolo numero di cellule l’embrione, oltre ad aver completato l’assetto del suo genoma derivato da entrambi i genitori, è in grado di elaborare una moltitudine di sostanze di natura proteica, enzimatica, ormonale, molecole dalle più semplici alle più complesse, da inviare alla madre per rendere il dialogo più dettagliato e produttivo. Volendo fare alcuni esempi tra i più efficaci, l’embrione segnala alla madre che è presente nel suo organismo, che è vivo e vitale e che ha bisogno di domiciliarsi all’interno della cavità uterina. Chiede quindi di essere accolto ed al tempo stesso che si interrompa il programmato flusso mestruale, altrimenti lui o lei verrebbero spazzati via. Inoltre l’embrione richiede alla madre che attivi tutta una serie di adattamenti del suo sistema immunitario per tollerare la presenza di quel 50% della sua componente di origine paterna, del tutto estraneo all’organismo materno, eliminando quindi il rischio di rigetto. Le prime richieste dell’embrione alla madre sono quindi finalizzate alla sua sopravvivenza e al suo benessere.
Qual è il ruolo della placenta – “astronave della vita”?
La placenta, che un nostro Collega ha denominato “astronave della vita” (le ragioni le spieghiamo nel testo) e che noi abbiamo adottato, è un organo transitorio che ciascuno di noi costruisce all’inizio del proprio sviluppo prenatale. Essa ci accompagna per tutto il periodo della vita prenatale e alla nascita viene eliminata. Le sue innumerevoli funzioni sono straordinarie ed oggetto di continuo stupore e tanto ancora si dovrà studiare e scoprire sulla influenza che la placenta esercita per lo sviluppo e per il futuro benessere di ciascuno di noi. E’ l’organo che filtra e trattiene tutto ciò che non giova alla nostra crescita normale, come sostanze dannose, batteri, veleni; è un deposito e riserva di nutrienti per la nostra crescita armonica; produce e distribuisce una gran quantità di ormoni, citochine, enzimi, fattori di crescita, tutti strumenti di comunicazione indirizzati verso la madre; elabora messaggi di natura biochimica di provenienza fetale e li indirizza in direzione materna. In realtà la placenta funziona come il disco rigido di un computer, dato che rende i messaggi biochimici di provenienza fetale accessibili ai recettori materni, perché lei possa decifrarli al meglio.
Inoltre trasmette le sue cellule staminali alla madre, che lei trattiene e conserva per tempi indefiniti nel suo organismo, cellule che si attivano per riparare o sostituire parti di organi o tessuti che si ammalano o si deteriorano nel tempo ed ancora, invia al feto quei batteri benefici che provengono dal microbiota materno e che contribuiranno ad indurre, tra i tanti benefici, lo sviluppo del sistema immunitario nel nascituro, oltre all’impianto della sua necessaria flora batterica intestinale.
Tutte queste funzioni si manifestano al meglio quando la placenta, all’inizio della sua formazione si impianta e si espande su una ampia superficie all’interno della cavità uterina, contraendo un rapporto vascolare ottimale con il circolo sanguigno materno. Infatti una placenta poco espansa e non sufficientemente penetrata nello spessore della parete uterina, non riesce ad assicurare uno sviluppo normale al nascituro, che nasce sottopeso e di salute cagionevole negli anni successivi alla sua nascita. Tutto ciò favorirà anche l’insorgenza di patologie materne, come l’ipertensione gravidica e la preeclampsia.
Nel libro si parla di modificazioni epigenetiche e imprinting genomico. Di cosa si tratta?
Si tratta di una area della genetica relativamente nuova, che studia le piccole modificazioni del genoma che si manifestano senza però alterarne il genotipo, rimaneggiando un numero limitato di geni (circa un centinaio dei 25.000 che compongono il genoma umano). Una di queste modifiche è relativa all’imprinting genomico, che consiste nella inattivazione o silenziamento di uno dei due geni derivanti da entrambi i genitori (alleli), attraverso una reazione biochimica (metilazione del DNA), per cui la coppia diviene agli effetti pratici monoallelica, cioè costituita da un solo gene. Il gene inattivato può essere di provenienza paterna o materna e il risultato finale nel nuovo soggetto è quello di conservare l’assetto genico del genoma familiare, ma con una nuova individualità, che conferisce al nascituro una identità specifica che non ha uguale tra tutti i soggetti umani che hanno popolato e popoleranno il pianeta. Non si conosce il meccanismo che induce l’imprinting e si ipotizza che possa dipendere dall’influenza dell’ambiente in cui vive la madre, delle sue abitudini di vita, della sua alimentazione, dall’effetto di farmaci, ma essenzialmente attraverso meccanismi che la scienza non ha ancora del tutto svelato.
Durante il brevissimo ciclo della fase prenatale ogni singola cellula che compone il mosaico del nostro essere e della nostra individualità viene collocata nel posto giusto, come obbedendo ad un ordine prestabilito e organizzato, rendendoci unici e ineguagliabili. Tale processo apre ad interrogativi di tipo escatologico ed etico… Chi siamo noi nelle primissime fasi della nostra vita?
Già nella fase del suo sviluppo iniziale, composto da un numero esiguo di cellule (tra 8 e 16), raggiunta la sua individualità grazie all’imprinting genomico, ma anche mediante piccoli riassetti di alcuni dei suoi cromosomi attraverso il cosiddetto “crossing over”, l’embrione che ha completato la sua struttura genetica è in grado di organizzare la sua crescita ed inizia il suo dialogo con l’organismo materno. In questa fase (di morula e poi di blastocisti) non è ancora domiciliato nell’utero ma è in transito nella salpinge e si avvia verso l’ingresso in cavità uterina. Una delle sue funzioni più sorprendenti in questa fase è la capacità di analizzare la sua struttura cellulare e di verificarne la normale conformazione. Se sono presenti anomalie cellulari o malformazioni o mutazioni geniche, l’embrione riesce a ripararle e ad assumere la sua struttura normale. Se invece le alterazioni sono numerose, oppure non più modificabili, il suo sviluppo si arresta e la gravidanza si interrompe spontaneamente. Superata questa prova e raggiunta la sua conformazione normale, l’embrione entra in cavità uterina e organizza il suo annidamento. Da questo momento in poi il dialogo con la madre assume l’entità di un vero e proprio colloquio continuo, dato che tutti gli strumenti di comunicazione vengono immessi nel circolo sanguigno della madre.
Attraverso questo perfetto rapporto simbiotico, ogni singola componente embrionale trova la sua sede naturale; si formano così gli organi e i tessuti che poi si assemblano a costituire la conformazione di un essere umano in miniatura. Tutto ciò avviene con una precisione e con un ordine impeccabile, guidati da organizzatori biochimici che il genoma embrionale è in grado di produrre e di regolare in sequenza e che la scienza ad oggi ha scoperto solo in piccola parte. Quindi permane una considerevole quota di mistero che regola e predispone lo sviluppo e la crescita di ogni essere umano nelle sue diverse componenti. In particolare ciò avviene nel nostro cervello e negli organi di senso. Questi ultimi ci metteranno in grado di relazionarci con gli altri e con l’ambiente circostante già durante il tempo dello sviluppo prenatale. Essi si perfezioneranno sempre più col trascorrere del tempo, dopo la nascita e per tutta la durata dell’esistenza. Il mistero della vita di ciascuno di noi, diventa così oggetto di riflessione e di meditazione e costituisce materia affidata alla sapienza filosofica, teologica ed alle indagini speculative del pensiero, nel passato, nel presente e nel futuro di ogni essere umano.
Oggi si sente molto parlare di medicina di genere…
La medicina di genere configura una nuova visione della condizione di salute e di malattia non solo in relazione con il diverso equilibrio e con la funzionalità dei diversi organi ed apparati nei due sessi, ma anche in rapporto alla condizione sociale, lavorativa, famigliare di ciascun soggetto. Per fare un esempio, nella donna una prolungata esposizione allo stress induce un’eccessiva produzione di ormoni surrenalici e questo è sufficiente a provocare alterazioni del ritmo mestruale, fino ad influenzare la sua fertilità e, di conseguenza, anche il suo equilibrio psico-fisico, il metabolismo e l’eventuale effetto terapeutico dei farmaci. Ancora, la presenza degli ormoni sessuali durante il ciclo mestruale, comporta l’attivazione dei sistemi enzimatici del fegato e del rene per smaltirne l’eccesso, dopo che hanno esercitato il loro effetto sui recettori distribuiti nei vari organi bersaglio. Questo impegno metabolico implica talora la difficoltà da parte dell’organismo a disattivare alcune sostanze tossiche o alcuni farmaci, che potrebbero persistere a lungo nell’organismo rispetto alla facilità con cui vengono invece eliminati nei soggetti di sesso maschile. Ed a questo proposito giova ricordare che in passato la sperimentazione farmacologica di molecole da utilizzare a scopo terapeutico, veniva programmata prevalentemente su soggetti di sesso maschile. Successivamente però il farmaco approvato per la sua azione terapeutica era ed è tuttora impiegato in entrambi i sessi, calibrandone il dosaggio unicamente in rapporto al peso corporeo del soggetto donna. Un altro elemento da considerare è la manifestazione dei sintomi di alcune patologie nei due sessi.
L’esempio più riportato in questo contesto è l’infarto miocardico: nell’uomo questa patologia si manifesta con i sintomi ben noti ai medici di famiglia e di pronto soccorso (dolore al torace e al braccio sinistro, pallore, senso di angoscia) tanto da attivare subito le cure salva-vita e il più delle volte la tempestività dell’intervento curativo risolve la patologia. Nella donna dopo la menopausa la frequenza dell’infarto è simile a quella dell’uomo, perché cessa l’effetto protettivo degli ormoni sessuali, ma i sintomi clinici spesso si discostano dal quadro classico maschile e compaiono la nausea, il dolore alla schiena, il vomito e i dolori addominali, al punto da ritardare la diagnosi e quindi da non attivare con tempestività i provvedimenti risolutivi al soggetto. La medicina di genere quindi studia le differenze biologiche tra uomo e donna, anche in rapporto a fattori ambientali, sociali e culturali. Pone in evidenza le diverse reazioni che l’organismo femminile manifesta rispetto al maschile nel decorso della stessa malattia, nella risposta ai farmaci e agli schemi terapeutici adottati. E questo a causa della diversa composizione corporea, dei diversi ritmi biologici e delle differenze ormonali nei due organismi. Questa nuova visione della medicina viene sempre più applicata nelle strutture ospedaliere e universitarie ed è affidata a personale qualificato, prevalentemente femminile, preparato nelle scuole mediche e infermieristiche, in funzione delle esigenze assistenziali e curative della donna.
La donna per le sue caratteristiche biologiche e fisiche ha uno straordinario ruolo- quello di portatrice e conservatrice della vita umana. Ritiene che una maggiore conoscenza di quanto avviene in quei 9 mesi di vita intrauterina possa contribuire a smantellare una certa mentalità maschilista ancora purtroppo così presente nel nostro paese e nel mondo?
Uno degli scopi principali del nostro volume è proprio quello di magnificare non solo la funzione procreativa della donna, che si avvale della straordinaria capacità di accoglienza della sua corporeità e della adattabilità del suo organismo alla presenza di altro essere umano per metà estraneo al suo fisico. Abbiamo però voluto valorizzare anche la sua intelligenza e il livello culturale che ha superato quello degli uomini, come risulta dai risultati scolastici e universitari e dalle brillanti carriere nei molteplici impegni lavorativi, tali da rappresentare un vero e proprio capitale intellettuale per il nostro Paese. Purtroppo tutto questo non è ancora stato compreso da molti che si ostinano a guardare con sospetto i ruoli dirigenti femminili.