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Taranto – Al Tatà, tra il serio e il faceto per raccontare i femminicidi

L’innominata alla fine si è capito che era lei, la vagina, questa linea verticale che attraversa la mente dell’uomo, tra la corteccia cerebrale nella sua parte primaria, quella visiva.

Lo spettacolo di ieri sera, in questa prima giornata di autunno, dal titolo criptato:

“Innominata chiamatemi per nome”, ha mostrato 15 donne attrici per caso, a raccontare con ironia, tra il serio e il faceto, il dramma della violenza sulle donne.

Operazione perfettamente riuscita

Anche grazie alla sapiente regia e location del Tatà, splendido hub culturale e teatrale della città gestito dal Crest.

Dietro a tutto questo c’è l’associazione Ethra Psicosociale che all’inizio dello spettacolo si è presentata

“Stasera, su questo palco, attraverso le voci e i corpi di queste fantastiche donne , abbiamo dato voce a tante donne che soffrono nel silenzio e nel buio delle case, troppo spesso diventate vere e proprie prigioni.
Le sorelle di Ethra che hanno animato questa serata non sono attrici professioniste e questo rende il loro impegno e il risultato ancora più prezioso!
Il calendario di incontri con Ethra è ancora molto ricco e ci vedrà impegnate in numerose attività fino ad Aprile.
Ringraziamo di cuore il patrocinio offerto da Coop Alleanza 3.0 di Taranto, la Fondazione Italiana ricerche e studio sul servizio sociale ( FIRSS).
Il CSV centro servizi per il volontariato, che sostengono i nostri progetti e, in questo modo, il nostro sogno di una società aperta, accogliente, senza violenza e senza discriminazioni.
Grazie a tutta l’organizzazione del Teatro Tata’ per aver dato forma al nostro sogno!”
Lo spettacolo è piaciuto per la sua linearità avvolgente, non è stato solo il racconto di femminicidi, ma la rappresentazione dell’altra metà del cielo, il mondo visto dagli occhi delle donne.
Come in un coro greco di Medea, la frase; “avevo un mostro in casa e non lo sapevo” scuote la mente dello spettatore, lo coinvolge nel pathos, nella nebbia che copre il proscenio.
Tutte le risposte femminili della cronaca diventano dialogo che saltella da una parte all’altra. C’è la donna che non capisce, giustifica, non vede, che paradossalmente ringrazia di essere bruciata dopo una vangata in testa che non le fa sentire dolore.
Persino la femmina dark che non concede spazi, che gioca con gli uomini, libera e sfrontata viene alla fine buttata dalla finestra, eh diavolo,  “ero stronza e mi hai fregato!”
Ecco forse in quest’ultima espressione c’è tutta la valenza dell’assurdità dell’epilogo violento, come se volessimo a tutti costi negare il progresso dell’umanità regredendo all’età della pietra.

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