Principale Politica Fascisti del green pass fanno professione di antifascismo

Fascisti del green pass fanno professione di antifascismo

ANNA LOMBROSO

Anna Lombroso per il Simplicissimus

In attesa che il Manifesto da quotidiano comunista diventi manifesto della razza, di quella etnia superiore che sta dritta non per la spina dorsale ma per un carapace fatto di certezze granitiche: un antifascismo di facciata militato contro un energumeno da tempo insostituibile alleato di governo o qualche attrezzo superstite nel ciarpame nostalgico  mai penalizzato e punito per via dell’evidente inapplicabilità del reato di apologia, o un ambientalismo ridotto a giardinaggio, o un femminismo retrocesso a ammirazione per pulzelle che ce l’hanno fatta a essere ammesse ai ranghi governativi, oggi scopriamo dalla stampa ufficiale che Draghi e Lamorgese sono “preoccupati”.

Foto e filmati avrebbero rivelato che nella piazza dei Marci su Roma di sabato, intossicati dai lacrimogeni, feriti negli scontri si possono vedere facce di gente comune, cinquantenni stupefatti del trattamento subito, signore insegnanti o impiegate o madri di famiglia con la messa in piega del sabato mattina, anziani colti di sorpresa dalla repressione.

Mentre invece l’assalto vituperato alla Cgil, sguarnita di qualsiasi presidio di vigilanza – a proposito di servizi d’ordine- e lo si sapeva anche prima degli arresti dei due inossidabili leader, è a carico di gruppi che in anni e anni hanno attraversato indenni moti di piazzette, competizioni elettorali nelle quali si sono sfrontatamente candidati, piste nere e indagini opache, tanto che un ex parlamentare è stato perseguito e condannato per aver dato un più focoso di loro del fascista, quando per isolarli e metterli al gabbio senza proporre provvedimenti aggiuntivi bastava applicare leggi vigenti, invece di invitarli ai festival dell’unità e concedergli palazzetti in usucapione.

Eh si quella piazza, che, fa testo Molinari,  da “teatro nero” neo nazi si sarebbe poi rivelata solo “infiltrata” dalle “frange estremiste di neofascisti che portano tensione e violenza nella  protesta No Pass”,  si dimostra più pericolosa e allarmante per le “autorità”, perché poche teste rasate spiccano tra una selva di cellulari, berrettini a proteggersi dal sole del mese con la erre, chiome brizzolate, a confermare l’ipotesi che si tratti di una piazza come ce ne sono state tante prima dell’occupazione del riformismo neoliberista comandato a distanza ravvicinata dal padronato e dalla finanza e servito dai lustrascarpe sindacali.

Era una piazza di cittadini, lavoratori, pensionati, studenti, poco abituati all’uso di mondo di servizi d’ordine decaduti con la fine delle ideologie e delle cinghie di trasmissione, che non pensano di dover reagire con potere sostitutivo della Polizia, a ciò deputata, alle infiltrazioni e provocazioni di qualche cialtrone muscolare frequentatore di palestre e centri tattoo, magari frequentate anche da forze dell’ordine e militari  agli ordini del generale della Nato cui è stata delegata la campagna vaccinale, e che si ripresentano ogni volta indisturbati e intoccabili.

Ma a ben vedere mette scorno e insinua timore anche in tanti della razza superiore autocertificata grazie al green pass che ha sostituito un tessera di un partito cui non si aderisce formalmente ma che si vota come nella recente  tornata elettorale, che attraversa tutto l’arco parlamentare e che tiene in piedi la governabilità di un bancario che ha iniziato la sua carriera da marinaio del Britannia, da avanzi delle compagini partitiche che si distinguono solo per la tipologia di marketing che praticano, ormai limitato al brand sanitario, tra “transazioni” ecologiche che affidano all’industria e al mercato la soluzione dei mali che hanno prodotto, “cura” della salute, unica forma ammessa di sviluppo per un Paese destinato a test della medicalizzazione universale, “istruzione” promossa a formazione al lavoro ripetitivo, alienante, precario e servile, “sicurezza” confermata nella sua versione di tutela dell’ordine e del decoro secondo i principi del tandem Minniti/Salvini.

Sono loro, i firmatari veri o virtuali dell’appello degli intellettuali, alcuni chiosatori di Carl Schmitt, in difesa dello stato di eccezione, o propagandisti di un educato Aventino che proteggerebbe dalle contaminazioni virali della destra,  i più ferventi sostenitori della tesi che il movimento No Green Pass è egemonizzato dall’arcipelago neofascista, con la stessa proterva ottusità con la quale qualsiasi movimento per il territorio o contro le grandi opere viene catalogato come anarcoinsurrezionalista, in modo che qualsiasi fermento etichettato come neofascismo e anarchismo sia obbligatoriamente  contrastato e represso allo stessa stregua, perché non disturbi il manovratore e non minacci questo fior di stabilità. Basterebbe ricordare la macelleria di Genova legittimata dalla necessità di tutelare la brava gente dalle intemperanze dei famigerato black bloc, per far sospettare quale sarà la destinazione futura del green pass, qualora venga meno la sua incredibile funzione sanitaria, come strumento identificativo in grado di identificare dopo i disertori del vaccino, gli oppositori, i critici, gli eretici, i mal pensanti.

Immagino che vedremo alla prova questa ipotesi al test dello sciopero generale,  che potrebbe essere probabilmente egemonizzato, data la non sorprendente coincidenza col sacco di Roma a Corso d’Italia, dai sindacati che hanno preteso che venissero sospese le manifestazioni dei primi di marzo 2020 con le quali si chiedeva sicurezza sul posto di lavoro e che invece sottoscrissero il vergognoso protocollo Confindustria-Governo pensato per garantire immunità al padronato, mentre gli essenziali viaggiavano sui soliti carri-bestiame, lavoravano in luoghi insalubri, rischiavano la pelle ben oltre il virus come dimostrano le statistiche sugli assassini definiti morti bianche.

Paradossalmente la piazza allarma il palazzo in concorso con  il nemico in casa, Confindustria dell’Emilia Romagna, presidenti di regione che annunciano di non potersi adeguare alla discriminazione a norma di legge, Zaia in testa che obietta  che solo in Veneto ci sono 590mila non vaccinati in età lavorativa, obbligati a fare il tampone ogni due giorni e che non si arrenderanno mai alla somministrazione, mettendo in crisi il sistema produttivo.

Tutti fascisti anche loro? Come Agamben, Cacciari, professori universitari, clinici riluttanti a percorrere il red carpet perché scelgono le corsie, insegnanti e docenti, ricercatori che da anni denunciano l’occupazione industriale e commerciale del settore, impiegati costretti al green pass anche se lavorano da casa, portuali, ferrovieri, personale sanitario, insieme ai tanti, centinaia di migliaia che hanno dovuto cedere al ricatto e se ne vergognano e per questo solidarizzano e si espongono manifestando contro il disonore?

Certo è stato provvidenziale l’incidente di Roma, con il richiamo all’unità in difesa di una democrazia demolita, di una Costituzione tradita, di una sicurezza pensata per criminalizzare gli ultimi in modo da rassicurare i primi. Ma non basterà, Draghi che sta rispolverando il mito di taumaturga annunciando che grazie a lui la pandemia è alla fine, dovrà fare retromarcia se vuol salvare la sua candidatura al Colle e il suo ruolo di beniamino dell’impero dal quale ha esorbitato strafacendo peggio di un Macron qualunque. Merito di quelle piazze che da molti sabati perseverano per dimostrare che qualcuno conserva il coraggio della libertà e l’audacia della dignità.

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