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Equilibrio interiore

L’equilibrio non è mai statico ma è sempre dinamico.

Ė qualcosa da raggiungere,  qualcosa a cui tendere, a cui avvicinarsi con sforzo, fatica, pazienza certosina.

Però non è un approdo definitivo, un porto sicuro. Una volta raggiunto si può perdere e cadere.

Per Einstein la vita “è come andare in bicicletta.

Bisogna muoversi per stare in equilibrio”. Pascal al contrario pensava che tutti i problemi del mondo derivassero dal fatto che gli uomini non fossero  capaci da soli di starsene nella loro stanza.

Per la psicologia l’equilibrio dipende dall’autoregolazione, dall’omeostasi.

Per un equilibrista stare sul filo ad un metro di altezza è facile. È molto più difficile invece mantenere l’equilibrio a cinquanta metri di altezza.

È una questione prettamente psicologica trovare il proprio baricentro e non dipende solo dalle vertigini. Dipende anche dalle circostanze e dalle cose della vita.

Allo stesso modo essere equilibrati dopo molte perturbazioni, le cosiddette vicissitudini, ovvero dopo alcuni eventi stressanti traumatici è molto più difficile rispetto a chi ha una vita semplice, lineare, “scorrevole”.

L’equilibrio non è qualcosa che viene dato subito, di primo acchito, a priori.

Non si nasce equilibrati per quanto ci siano differenze individuali e persone già in partenza più o meno equilibrate.

Ma equilibrati nella stragrande maggioranza dei casi si diventa. Nell’adolescenza e nella giovinezza quasi tutti hanno degli alti e bassi: sono le stagioni maniaco-depressive per eccellenza.

Ci sono persone che cercano l’equilibrio e non lo trovano. Altre che lo cercano e lo trovano.

È molto difficile trovare l’equilibrio senza cercarlo perché questo è una conquista, anche se non è mai definitiva, non è mai un punto di arrivo.

L’equilibrio è un obiettivo, una meta, una vetta da raggiungere.

Ma si può sempre ricadere.  Si è come Sisifo. Anche chi raggiunge l’equilibrio con degli psicofarmaci o con l’analisi è lodevole.

Non importa se l’equilibrio sia indotto.

L’importante è vincere lo squilibrio neurochimico, compensarlo. Qualcuno potrebbe obiettare che l’equilibrio così raggiunto è una sorta di paradiso artificiale.

Ma se qualcuno ha qualche problema al cuore non si lamenta  certo del fatto che è dovuto ricorrere all’operazione di un cardiochirurgo.

L’importante è il risultato raggiunto, è la salute psicofisica della persona conseguita. Inoltre la fossa comune di coloro che pensavano di farcela da soli è sempre piena, pur con tutta la pietà,  la compassione ammissibili e possibili.

Non vedo perché non si possa fare ricorso a delle cure psicologiche. Spesso chi non lo fa adduce futili motivi, come l’orgoglio o delle resistenze culturali.

Ma il motivo profondo è la resistenza al cambiamento. Una persona che decide di farsi curare è già a buon punto perché riconosce i suoi problemi ed è a metà dell’opera per risolverli.

L’equilibrio però deve essere prima di tutto una questione interna, interiore, quindi dipende dalla propria soggettività e dalla  autovalutazione.

Per raggiungere l’equilibrio c’è bisogno di autoconsapevolezza. Certo c’è bisogno anche dei riscontri e della validazione del mondo esterno, ma ė qualcosa che deve partire prima di tutto da sé stessi.

La prima mossa è prendersi cura di sé stessi, imparare a volersi un poco di bene. Le dinamiche autodistruttive, il cosiddetto masochismo morale indicato da Freud, così come gli autoinganni sono dei fattori di rischio, che ci allontanano dell’equilibrio.

È molto più avvantaggiato chi inizia da sé a cercare l’equilibrio rispetto a chi viene invogliato, spronato a cercarlo. Ci sono persone che lo raggiungono dopo anni di meditazione; altri dopo anni di preghiere; altri dopo anni di incontri e viaggi.

C’è chi lo cerca leggendo manuali di psicologia: anche questo potrebbe essere un buon punto di partenza, ma da solo non basta. Alcuni pensano di averlo raggiunto, mentre in realtà si sbagliano. È facile confondere l’equilibrio con una apparente stabilità affettiva e umorale.

A volte si cerca l’equilibrio e si raggiunge solo il piattume,  la noia. Alcuni fanno dei sottili distinguo tra maturità ed equilibrio interiore. A mio avviso sono sinonimi.

Le differenze tra i due termini sono alquanto soggettive, riguardano la connotazione, sono sfumate, vaghe e contrassegnate da un alone di indeterminatezza.

Molti confondono l’equilibrio con la capacità di un individuo di integrarsi socialmente ed economicamente,  che in un Paese come il nostro significa anche accettare i compromessi e non ribellarsi.

Per molti non è equilibrato né maturo chi si batte per delle giuste cause e lo definisce come un difensore delle cause perse o uno che fa le battaglie contro i mulini a vento, come se l’armonia interiore e la capacità di stare bene con sé stessi dipendesse dalla capacità di quieto vivere, dalla rassegnazione di accettare lo status quo. Per altri non è equilibrato chi si interroga troppo sull’esistenza e si pone domande filosofiche,  ma queste persone si sbagliano perché la curiosità intellettuale,  la ricerca sono il sale della vita. Ricordando un celebre passo del profeta Isaia, a chi gli chiede quanto resta della notte la sentinella risponde di venire ancora, di domandare ancora. La realtà è che l’equilibrio non è mai statico, non si può raggiungere che con la morte la quiete assoluta.

La realtà è che fino a quando si è in vita non si è mai esseri pienamente risolti. Come dice il proverbio nella vita non si ė certi di niente, tranne che della morte.

Alcuni potrebbero pensare che il raggiungimento dell’equilibrio interiore viene facilitato dalla presenza della fede. Certo può aiutare, ma non è così semplice.

Accettare la propria miseria ontologica, la propria pochezza ė il primo passo, ma non è così facile.  Ci sono molti ostacoli e trappole sulla strada.

Madre Teresa di Calcutta ha avuto per anni una fede vacillante, eppure è stata una grande santa, che ha fatto del bene a moltissimi poveri e bisognosi.

I religiosi cristiani devono rispettare i voti di povertà,  obbedienza, castità.  Non sempre ci riescono. Madre Teresa oltre a questi rispettava anche il voto di carità e c’è sempre riuscita nella sua vita.

Nelle sue azioni e nei suoi comportamenti non ha mai manifestato cedimenti.

Eppure anche lei ha avuto dei dubbi del tutto legittimi. In una lettera rivolgendosi a Cristo scriveva: “Mi hai respinto, mi hai gettato via, non voluta e non amata.

Io chiamo, io mi aggrappo, io voglio, ma non c’è Alcuno che risponda. Nessuno, nessuno. Sola… Dov’è la mia Fede… Perfino quaggiù nel profondo, null’altro che vuoto e oscurità —Mio Dio—come fa male questa pena sconosciuta… Per che cosa mi tormento?

Se non c’è alcun Dio non c’è neppure l’anima, e allora anche tu, Gesù, non sei vero… Io non ho alcuna Fede. Nessuna Fede, nessun amore, nessuno zelo.

La salvezza delle anime non mi attrae, il Paradiso non significa nulla… Io non ho niente, neppure la realtà della presenza di Dio”. Tutto ciò dovrebbe far riflettere.

Prima di raggiungere la serenità interiore bisogna attraversare “la notte dell’anima”.

Davide Morelli

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