Principale Ambiente & Salute Fossili e gas drenano risorse per l’energia

Fossili e gas drenano risorse per l’energia

Le dichiarazioni del vicepresidente esecutivo del Green Deal Europeo: “L’aumento dei costi dell’energia è dovuto alla dipendenza da fossili e gas.

Se avessimo anticipato la transizione ecologica con le rinnovabili, oggi non avremmo questi problemi .

Chiarissimo anche l’Amministratore Delegato di ENEL, Storace contro la favola del sequestro e confinamento dell’anidride carbonica, sulla VOLUTA dipendenza dell’Italia dal gas responsabile assoluto dell’aumento dell’energia e irrisione giusta all’aumento di uso del gas, che confligge sia con la sostenibilità sia con i parametri ESG (Environmental, Social, Governance: ambiente, sociale e gestione, conduzione).

Sarebbe sufficiente scorrere gli ultimi 15 anni per verificare la instabilità de prezzo del gas e, che la transizione energetica non c’entra nulla con il caro energia.

Solo imbrattacarte con le funzioni di malleveria foraggiati dalla lobby internazionale del fossile possono attribuire la causa alla decarbonizzazione.

La neutralità tecnologica al tempo dei limiti di consumo delle fonti fossili, conosciuto come budget del carbonio (IPCC) è un imbroglio scientifico.

La cara bolletta di oggi è fondamentalmente dovuta al ritardo nella crescita delle rinnovabili e nell’uso razionale dell’energia (efficienza energetica/risparmio a parità di uso finale) oltre, che all’anomalo finanziamento delle fossili più delle fonti rinnovabili.

Sarebbe sufficiente calcolare i danni prodotti ogni anno dal riscaldamento globale

Lo ha fatto EEA, Italia al 2° posto dopo la Germania con mediamente 1,75 mld anno.

Se la bolletta è cresciuta, di 5 parti quattro sono dovute al gas e 1 al costo della CO2 che diminuisce all’aumentare delle fonti rinnovabili.

Semplificazione mancata nelle autorizzazioni, quasi blocco dell’incentivazione siamo arrivati alla situazione di “blocco” da otto anni.

Bisogna anche considerare il “come” si forma sul mercato elettrico il prezzo dell’energia.

L’assurdo è rappresentato dal fatto che dal 2020 la produzione da FER ha superato quella delle fonti fossili, ma il meccanismo di formazione del prezzo sul mercato elettrico non è cambiato.

Nel nostro Paese coprono il 38%, ma non incidono sulla formazione del prezzo.

Una quota delle FER ha priorità di dispacciamento e non è computata ai fini del prezzo sul mercato elettrico, che tra l’altro segue il regime del prezzo marginale.

Il prezzo del chilowattora prodotto in un certo momento diventa il prezzo applicato all’intera energia scambiata.

E’ quindi il Kwh fossile, il riferimento. Esiste poi una locuzione “magica”, P.P.A. (Power Purchase Agreement) sono accordi a lungo termine, a prezzo invariato sottoscritto da grandi consumatori finali e da fornitori di elettricità che in questo modo si sottraggono agli aumenti.

IL PUN (prezzo unico nazionale) è oggi pari a circa 280 euro per 1000 chilowattora (MWh) mentre il prezzo di una tonnellata di CO2 vale 78 euro (circa il 28%).

A maggio 2020 in piena pandemia costava 22 euro a MWh

Il problema è che il MWh è riferimento anche per remunerare la “capacity market” ovvero quelle centrali, che restano ferme ma a disposizione in caso di esigenza di riequilibrio della domanda sulla rete.

Parleremo della “capacity market “. Chiaro?

Paghiamo impianti che qualcuno può decidere di costruire domani, anche se restano fermi e per 15 anni incassano soldi. Strutture di accumulo connessi agli impianti di FER: non previsti.

Un aspetto che colpisce è perché il Governo dei Migliori non applica la legge 244/2007, che introdusse l’accisa mobile cioè la compensazione trimestrale dell’accisa su metano, gpl, benzina con il maggiore introito per lo Stato come Iva a causa degli aumenti del prezzo dei combustibili.

Sono rimasto per un attimo piacevolmente colpito dal convegno della Fondazione Carli sul “Mondo Nuovo” attivato da un “Patto per l’Italia “che pone al centro ambiente e sanità.

Subito dopo mi è tornato in mente il film già visto Cip 6 /92, nuovo indice “Mib ESG” dove su 40 delle azioni italiane più rispettose di “ambiente, diritti dei lavoratori e corruzione” (principi del Global Compact ONU) 24 avevano o problemi ambientali o sociali.

Greenwashing pieno altro che sostenibilità, decarbonizzazione e slogan buoni solo per i convegni.

Orrore sulla sanità dove 135 mila morti conseguenti a una pandemia la cui risposta regionale e nazionale è ancora oggi insufficiente non ha impedito all’ex banchiere centrale, ubriaco di mercato di tagliare 6 miliardi alla sanità tra il 2022 e il 2023 (Nota Aggiornamento Documento di Economia e Finanza).

Leggo nel 55 Rapporto CENSIS: Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni ’70, del 26,9% negli anni ’80, del 17,3% negli anni ’90, poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio e dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, prima di crollare dell’8,9% nel 2020.

Negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% in Germania e al +31,1% in Francia (…)

Del resto, le previsioni di crescita del Governo contenute nella Nota di aggiornamento al DEF, che pure incorporano gli effetti sull’economia degli investimenti previsti dal Pnrr, segnalano il robusto rimbalzo del Pil nel 2021 (+6,0%), 2022, +2,8% nel 2023, +1,9% nel 2024, con prospettive di ripiegamento a dello “zero virgola

Erasmo Venosi

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