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Partiti in crisi di rappresentatività

Un’astensione che sfiora il 50% è un pericolo per la democrazia. In tanti non votano perché lo ritengono inutile. I partiti una volta incassati i voti su una determinata linea agiscono poi secondo le convenienze del momento.

Il dato è impressionante ma, salvo che nell’immediatezza del voto, tutta la classe politica fa finta di niente. Eppure il livello dell’astensionismo ha superato ormai la soglia di guardia. Nell’ultima tornata amministrativa, ottobre 2021, al primo turno è andato a votare il 52,67% degli aventi diritto. Al secondo turno, nei 63 comuni interessati dal ballottaggio, di cui 60 con una popolazione superiore ai 15mila abitanti, la partecipazione si è fermata al 43,93%.

Anche se ai ballottaggi il calo dei votanti è fisiologico, siamo arrivati a livelli preoccupanti. Se poi guardiamo la progressione dell’astensionismo a partire dalle elezioni del 1992, in pratica da 30 anni a questa parte, vediamo che il non voto è andato aumentando anno dopo anno, dal 12,7% di allora a quasi il 50% di oggi. Questa progressiva diminuzione dei votanti ha poi un riflesso non di poco conto sulla reale rappresentatività dei vari partiti.  Le percentuali delle varie forze politiche non vengono infatti calcolate sugli aventi diritto ma solo sui voti validi, tolte anche le schede bianche e quelle nulle. Dire che un partito ha il 20% non vuole dire che ha il 20% dell’elettorato ma che ha il 20% di quelli che sono andare a votare e che hanno espresso un voto valido.

Se la partecipazione al voto è dell’80% quel 20% ha un significato ma se la partecipazione cala al 50% quel 20% ha un significato completamente diverso. In pratica all’attuale livello di partecipazione la rappresentatività dei partiti, di tutti, è fortemente minoritaria. E questa è la vera ragione per cui tutte le forze (?) politiche continuano a fare finta di niente. Rappresentano poche persone ma continuano a fare il bello e il cattivo tempo su tutto in nome di una maggioranza che non si riconosce più in loro.

Sulle ragioni della crisi di rappresentatività dei partiti e di conseguenza sui motivi per i quali sempre meno cittadini vanno a votare si sono sprecati fiumi d’inchiostro. Fra tutte le ragioni che vengono addotte però quasi nessuno mette l’accento su quello che, a parere di chi scrive, è invece il vero motivo dell’astensionismo: spiace dirlo ma votare non serve. I partiti una volta incassati i voti su una determinata linea politica agiscono poi secondo le convenienze del momento.

Se queste sono in linea con il mandato elettorale, tanto meglio, se invece non sono in linea si adeguano subito alla nuova situazione, in barba alle tesi sostenute fino a quel momento. L’esempio più eclatante è quello dei 5stelle.

Hanno chiesto i voti per fare alcune cose, giuste o sbagliate che fossero, e poi hanno agito e stanno agendo esattamente all’opposto. Ma lo stesso dicasi del PD, prima nemico acerrimo e poi alleato dei grillini. La Lega nel 2018 è andata al voto nella coalizione di centrodestra e poi ha subito fatto un governo con i 5stelle.  E così tutti gli altri. Se proprio si vuole, chi ha mantenuto una certa coerenza è Fratelli d’Italia che infatti non a caso è aumentato moltissimo, almeno nelle intenzioni di voto. Il cambio repentino di posizione qualche volta è anche subordinato ad interessi personali.

Berlusconi che pensa di avere qualche possibilità di salire sul Colle ha buttato a mare anni di polemiche sul reddito di cittadinanza e, per accattivarsi le simpatie di chi lo ha voluto, ne è diventato un sostenitore.

Ma gli esempi sono infiniti. Renzi, Calenda e Bonino invece di mettersi insieme per dare vita ad un polo liberaldemocratico e riformista, visto che la pensano esattamene allo stesso modo, continuano ad ignorarsi quando non addirittura a beccarsi fra di loro, come i capponi di Renzo, al solo scopo di accaparrarsi o non perdere i pochi consensi di cui godono.

Non parliamo poi della qualità di tanta parte della classe politica. Salvo poche eccezioni vanno in parlamento persone molto mediocri che avendo poche o nessuna idea gridano, insultano, vanno dietro al consenso spicciolo e immediato senza curarsi dell’interesse generale del Paese.

In questo quadro allora perché uno deve andare a votare? A cosa serve il suo voto? A dare una linea che può essere smentita nel giro di qualche ora? La gente ha capito il gioco e, tifosi a parte, molti, una parte di astensionismo è fisiologica, preferiscono stare a casa. Se il mandato elettorale perde forza cogente tanto vale non dare nessun mandato. Solo che questa disaffezione dell’elettorato ha un risvolto che per la stessa sopravvivenza della democrazia è estremamente pericoloso. Un governo che si regge su una maggioranza che, per il meccanismo esposto, non è tale perde legittimità. Non viene “riconosciuto” dalle persone, i suoi provvedimenti perdono efficacia. E la democrazia perde colpi.

I partiti allora devono riacquistare credibilità, candidando persone competenti, guardando agli interessi generali del Paese, non facendo giochetti e giochini il cui fine è sempre e solo l’interesse personale o di parte. Si può anche fare il contrario di quello per cui si sono chiesti i voti ma la cosa va spiegata all’elettorato e sul cambio di linea va chiesto il consenso. Difficilmente però i partiti si autoriformeranno e cambieranno i loro comportamenti. Serve una spinta forte dal basso. Gli elettori devono far sentire la loro voce, smettere di fare i tifosi e guardare alla sostanza delle cose. Non è facile nemmeno questo ma è l’unica strada se vogliamo restituire credibilità alla politica, ai partiti e a chi li rappresenta.

Giancarlo Magni   (www.soloriformisti.it)  

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