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“Orbene, a tutto c’è rimedio meno che alla morte, quando la vita finisce, ci dispiaccia”

Wilhelm Marstrand, Don Quixote og Sancho Panza ved en skillevej, u.å. (efter 1847)

“Orbene, a tutto c’è rimedio meno che alla morte, sotto il giogo della quale tutti si deve passare, per quanto, quando la vita finisce, ci dispiaccia.”

(Don Chisciotte della Mancia, Cervantes)

Siamo vicinissimi al Natale, oltre alle canoniche cose che questo evento ci ricorda è soprattutto la festa dei bambini. Si dice che la gioia vera, pura appartiene a due categorie: I cani e, appunto I bambini. E questa festa, santa, bella e di felicità deve essere la loro. L’attesa di Babbo natale, i doni sotto l’albero, i biscotti ed il latte lasciato davanti al camino o il davanzale della finestra. C’è molto amore in questo.
Andando dietro le quinte di questo splendido scenario ci sono i genitori dei bambini. Cosa insegnano loro, quali valori trasmettono e quanto amore danno a questi ragazzi; quanta gioia c’è nel vedere lo stupore che si dipinge sul loro viso quando magicamente vedono i doni sotto l’albero che la sera prima non c’erano.
Ci sono cose che non si dovrebbero perdere per nessun motivo al mondo, come le loro recite di scuola, o come la loro partita di calcio o il saggio di danza.
Vi voglio raccontare una piccola storia, breve, che non riguarda una persona nello specifico ma una categoria. I genitori separati. Una categoria che, purtroppo appartiene alla stragrande maggioranza delle coppie e alla quale appartengo anche io.
C’era un uomo che quando nacque suo figlio decise di piantare, un albero. Quest’albero sarebbe cresciuto insieme a suo figlio e avrebbero condiviso insieme il miracolo della vita. C’è un detto popolare che dice che un uomo nella vita deve fare almeno tre cose: fare un figlio, piantare un albero e scrivere un libro. Lasciare un segno del nostro passaggio sulla terra.
Quest’uomo due di quelle tre cose le aveva fatte, per la terza c’era tempo.
E lui ogni giorno vedeva crescere suo figlio, i primi passi, i primi dentini che spuntano, le prime parole dette. Di conseguenza vedeva anche l’altro suo “figlio”, l’albero che cresceva, alla luce del sole e al freddo delle intemperie, le prime foglie che poi cadevano e ricomparivano in primavera.
L’uomo vuole crescere suo figlio secondo quelle che sono le sue credenze, i suoi valori; vuole trasmettergli il suo sapere ed insegnargli ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e possibilmente non fargli commettere I suoi stessi errori. Ma non siamo padroni di niente, anche l’uomo più potente al mondo non può nulla contro quello che è il volere del destino.
Quando le cose vanno bene è facile andare d’accordo, si poteva fare l’amore… anche tutte le sere. Ma poi quando cominciano i problemi e la routine e la quotidianità bussano alla porta allora come si fa? La coppia si separa.
E l’uomo deve andare via di casa.
Di colpo il suo amato figlio, che prima vedeva tutti i giorni, comincia a vederlo una volta a settimana e a settimane alterne un week end sì e uno no. Un rapporto profondo come quello tra un padre ed un figlio è di colpo ridotto a ciò che qualcuno ha stabilito debba essere così. Tanto che vien voglia di dire a questa persona o a chi fa le leggi: perché non ci state voi lontano dalle persone che amate? Dai tuoi figli o da tua madre?
Ma è così.
Va bene. Ok, direbbero, quelli bravi.
L’uomo si ripromette di voler portare avanti quanto voleva fare, ossia insegnare al figlio i valori, le esperienze etc. ma in un pomeriggio a settimana e due sabati e due domeniche al mese è dura, dura davvero. Come fare? I suoi amici dicevano non conta la quantità di tempo passato insieme ma la qualità.
Sono tutte stupidaggini. C’è qualità nei sogni infranti di un papà, che voleva giocare tutte le sere con suo figlio e non può più farlo? C’è qualità nel volerlo portare al cinema, al teatro o allo stadio ed invece ci va solo con la mamma oppure con la mamma ed un altro uomo. Dov’è?
Qualcuno scrisse: la verità, vi prego, sull’amore.
Mi arrogo il diritto di dire qual è questa verità, o almeno una di suddette verità.
L’amore è quando, come spesso capita, ti separi, ti allontani da una persona e continui a vivere, a fare la stessa vita ma non è più la stessa cosa. Niente lo sarà mai più.
L’uomo continua vedere suo figlio, ma un pezzo di cuore gli è stato strappato dal petto, come quando nella vita militare un tuo superiore ti stacca i gradi dalla giubba. Lui va sulla collina, dove c’è l’altro figlio.
Una collina spoglia con solo questo unico albero sulla sommità sembra una vedetta, come nel libro Cuore la piccola vedetta lombarda; e parla con lui. Gli racconta delle giornate di lavoro, delle partite di calcio, di musica; gli dà addirittura consigli, di stare attento a quali uccelli facevano il nido tra i suoi rami, di non farsi fare i bisogni sul suo tronco dagli animali, che nella vita bisogna sempre farsi rispettare.
E poi se ne tornava a casa.
Entrambi crescevano da un lato il rapporto interrotto o ridotto ai minimi termini con il figlio in carne ed ossa e dall’altro il rapporto con l’altro figlio di clorofilla.
Tutta la nostra storia, dell’umanità intendo, senza qualcuno che la racconti sarebbe vana, siamo fatti di coloro che hanno scritto in versi la nostra esistenza, senza grandi penne dalle quali attingere saremmo vuoti. Una di queste (Ungaretti) scrisse: Si sta come d’autunno le foglie sugli alberi.
Ad indicare la precarietà della condizione umana. Quel papà si sentiva così, sul procinto di cadere da un momento all’altro.
La fine di questa breve storia è da leggere altrove, ma il senso rimane, la divisione, non totale, ma ad ampio spettro che subiscono i papà rispetto alle mamme è notevolmente differente. Si possono adducere tutte le motivazioni del caso, plausibili tra l’altro, ma è così.
E sapete una cosa?
Non c’è soluzione a questo.
Come un dogma, è così e basta.
Se poi a questo vogliamo aggiungere che nella quasi totalità delle coppie separate ci sono, screzi, dispetti, ripicche dove a farne le spese è sicuramente il figlio, ma anche il papà ha un conto salato da pagare. Ed è un conto che spesso non si riesce a pagare. C’è da lavare i piatti.
Anche se questo stato di cose è soggettivo, ci sono uomini che si struggono per la lontananza dai figli e uomini che se ne disinteressano totalmente. Ma di questo genere di maiali sinceramente non mi interessa. Poveri loro.
Sollevare un problema al quale non c’è soluzione è cosa inutile, me ne rendo conto. Ma siamo poi così sicuri che a questo non c’è soluzione?
Ho imparato che nella vita soltanto a una cosa non c’è soluzione e sappiamo benissimo qual è. Credo che con giuste regole, mirate, atte ad agevolare la condizione dei papà separati si possa lenire notevolmente questa situazione; ci sono uomini che vanno a mangiare alla Caritas e che dormono in macchina.
Al di là di ogni schieramento politico, una società è basata sulla famiglia, per fare altre famiglie e via dicendo. Ma una famiglia rimane tale anche quando è sfasciata ed uno stato sano dovrebbe prendere in considerazione che da una famiglia divisa potrebbe nascere con buona probabilità, ma questo è un mio pensiero, dei figli che diventeranno un uomo o una donna che hanno una visione di famiglia, la quale è una cosa caduca, labile, che si fa ma si può dividere senza tanti problemi, togliendo forza a mio avviso al concetto che questa parola porta con sé.
Quindi… “Orbene, a tutto c’è rimedio meno che alla morte, sotto il giogo della quale tutti si deve passare, per quanto, quando la vita finisce, ci dispiaccia.”
(Don Chisciotte della Mancia, Cervantes)
Daniele Garavini

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