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Essere se stessi

Hanno voglia di dire “express your self” gli anglofoni, soprattutto gli americani in virtù anche della libertà di espressione, garantita dal primo emendamento! “Express your self” è anche un imperativo categorico di molti scrittori e poeti, tutti intenti a descrivere minuziosamente la loro interiorità.

Ma che male fanno? E quindi perché proibirlo? Comunque cosa è veramente autentico di noi? Quale è la nostra parte più autentica? La nostra parte autentica appartiene alla nostra coscienza, al nostro io? A pensarci bene il nostro io è disturbato da pensieri ed immagini ricorrenti perché tutti abbiamo una certa ruminazione. C’è chi rimugina le sue fantasie erotiche abituali e chi ripensa ossessivamente ad un torto subito sul lavoro. Sono molti gli automatismi psichici. Ma poi i nostri pensieri da dove arrivano? Spesso sono pensieri già pensati da altri e se sono veramente nostri devono essere approvati socialmente. È difficile dire quali sono i pensieri autonomi, veramente nostri e quelli che ci hanno messo in testa, quelli che Vico chiamava gli idoli. Il nostro io, anche quello considerato più autentico, deve essere approvato dagli altri. Bisogna sempre valutare le conseguenze e le reazioni sociali di ogni espressione di sé. Abbiamo sempre paura del giudizio altrui. Alcuni dicono che si deve essere sé stessi ma è la sfida più grande. Si rischia di diventare delle pecore nere.

È più confortevole l’appiattimento, l’omologazione, il livellamento. Non solo ma è conveniente essere sé stessi? Fa davvero stare bene sé stessi e gli altri. Non mi sembra proprio, vista ad esempio la trama e il finale di “Va’ dove ti porta il cuore” di Susanna Tamaro.. Se per essere sinceri e veri si deve soffrire e far soffrire così tanto, allora è meglio rinunciarvi in partenza.

E poi è difficile essere sé stessi quando a malapena sappiamo chi siamo. La ricerca dell’autenticità è una missione impossibile. Alcuni dicono che non si deve essere falsi, che bisogna essere veri, ma è solo un modo di dire perché mentire agli altri e a sé stessi è una necessità, talvolta quasi una regola per vivere. Impossible is nothing è solo uno slogan che andava bene per comprarsi un paio di scarpe! Inoltre nessuno è veramente autentico perché apprendiamo per imitazione ed ognuno ha dei modelli che segue. Come facciamo a non essere precofenzionati oggi?

Siamo spesso le fotocopie sbiadite di qualcun altro o di qualcosa d’altro. Ecco allora che Aldo Busi in “Seminario sulla gioventù” ci insegna che “le vere personalità sono quelle inventate: non c’è grandezza dove non c’è autoviolenza”.

Ma è in ottima compagna perché anche G.B.Shaw scriveva che “non bisogna trovare sé stessi, ma creare sé stessi”. Tutto questo però è molto difficile, un’impresa molto ardua. Inutile negarlo. Il nostro io è costruito ad immagine e somiglianza degli altri. Addirittura secondo la “teoria dell’immagine” l’idea che ci facciamo di noi stessi dipende in modo determinante dalla considerazione e dalla stima che gli altri hanno di noi. Secondo questa teoria sviluppata da Beach e Mitchell anche le decisioni che prendiamo nel corso della vita non sono basate tanto su un’analisi dei costi e dei benefici quanto piuttosto dall’insieme di valori, norme, credenze, aspettative: insomma dalla concezione che noi abbiamo di noi stessi. Per non impazzire non possiamo rinchiuderci tutto il tempo in noi stessi. Dobbiamo in qualche modo comunicare, abbiamo bisogno di qualche contatto.

Ma quando è che siamo davvero autentici se il mondo è un palcoscenico e bisogna sempre recitare delle parti, assumere dei ruoli? A volte ad onor del vero abbiamo la netta impressione che qualcuno per essere veramente sé stesso abbia bisogno di indossare una maschera. E poi non si può dire tutto agli altri.

Mi ricorda una poesia ironica dell’ultimo Montale, intitolata “Incespicare”, in cui il poeta scrive che qualcuno una volta parlò per intero e risultò incomprensibile. Aveva ragione perché se noi dicessimo tutto quello che ci passa per la testa, cioè idee fisse, idee bizzarre, frasi frammentate, pensieri aggressivi tutto ciò sarebbe ritenuto inopportuno e fuori luogo. Talvolta è questione di convenienza sociale, di furbizia, di accettare compromessi.

Sarà capitato a tutti ad esempio da giovani di non sapere se dichiarare i sentimenti ad una ragazza, che ci considerava solo come amici. In questo caso ci si trovava di fronte ad un dilemma sentimentale: confessare l’innamoramento e perderla per sempre oppure continuare a soffrire e sperare in silenzio.

La scelta era tra esprimersi autenticamente e sparire oppure cercare di fare i marpioni, aspettando un suo momento di debolezza, dato che quando esiste attrazione fisica almeno da una parte non ci può essere vera amicizia. Oppure forse è più autentico chi si abbandona alla sua parte istintiva e all’inconscio? Abbiamo dentro ad esempio molta aggressività. La coviamo da tempo immemorabile. Sono sempre più diffuse le rage room, stanze in cui, dopo aver pagato, per un quarto d’ora si può distruggere ogni oggetto. Sempre a proposito dei cosiddetti istinti pornografia, prostituzione, club privè sono sempre più popolari. Ma esistono sempre desideri inconfessabili e cose inaccettabili per il Super-Ego, che vengono rimosse. “In vino veritas” dicevano gli antichi. Ed allora siamo noi stessi nell’ebbrezza alcolica quando siamo molto più disinibiti sessualmente e socialmente?

È autentico allora uno che va in un vacanza in una città lontana e parla ubriaco con il barista, raccontandogli la sua vita? Oppure come dicono i musulmani il vino porta all’assenza di sé? Uno è veramente libero ed autentico quando ad esempio fuma una sigaretta? Oppure fumare è una dipendenza psicologica e fisica dalla nicotina? Oppure fumare è dovuto ad una regressione orale per gli psicanalisti o ad un tratto ossessivo di personalità? La libertà in senso assoluto non esiste.

Come scriveva Schopenhauer “l’uomo può fare ciò che vuole, ma non sa volere ciò che vuole”. Autenticità, libertà, libera espressione sono concetti che si richiamano a vicenda. Gli psicologi, gli psicoterapeuti dicono talvolta ai pazienti di non farsi dominare dal falso Sé. Ma si è così sicuri di stabilire cosa è vero e cosa è falso a questo mondo? E se il falso Sé è egosintonico ed innocuo perché richiamare il paziente ad un principio di realtà, che potrebbe essere doloroso? Ed ancora esistono i falsi Sé innocui ed egosintonici oppure no? Si può vivere autenticamente in base ai valori, in base alla morale?

Siamo sicuri ad esempio che la nostra morale esprima autenticamente noi stessi oppure forse se crediamo ciò la nostra è una falsa coscienza? Se avessimo un anello di Gige che fa diventare invisibili, come pensato da Platone, probabilmente compiremo molti misfatti. Se potessimo premere un bottone semplicemente per uccidere un mandarino cinese e diventare ricchi forse lo faremo, come pensato da Rousseau. Eppure autenticità significa anche cercare la verità umana e per farlo abbiamo bisogno di morale e valori.

Gli esistenzialisti trattavano dell’autenticità dell’esistenza. Secondo Heidegger l’esistenza era autentica quando era un essere per la morte, cioè quando il soggetto pensava alla propria finitezza. Sempre secondo il filosofo tedesco tre cause di inautenticità nella vita erano la chiacchiera impersonale, l’equivoco, la curiosità.

Ma questo nel Novecento. Probabilmente oggi con un interscambio continuo tra reale e virtuale le cose del mondo che provocano inautenticità sono molte di più. Forse dovremmo optare per la psicosintesi di Assagioli per integrare tutti gli aspetti, anche quelli più oscuri e nascosti del nostro Sé. Forse questo significherebbe essere autentici. Oppure dovremmo compiere un processo di individuazione come voleva Jung. Molto probabilmente aveva ragione Gurdjieff quando riteneva che gran parte degli uomini dovessero essere risvegliati.

Per la psichiatria fenomenologica è inautentico un paziente che è rivolto al passato ed autentico chi invece è proiettato nel futuro. Secondo la psicanalisi sono inautentici i meccanismi di difesa come la proiezione e la razionalizzazione. Sarebbero autentici invece per la psicanalisi lo sfogo, l’abreazione, il superamento del trauma psicologico. Il discrimine autenticità/inautenticità è opinabile.

Può essere considerata inautentica la cultura di un individuo, che può essere considerato erudito. Può essere considerata fasulla la cultura di un individuo quando non tolleriamo uno sfoggio di essa, quando riteniamo che sia una intellettualità recitata oppure quando riteniamo che non sia stata totalmente assimilata. Ma c’è anche chi ritiene che il vero problema non sia la cultura inautentica ma l’ignoranza autentica e che quest’ultima sia sempre una colpa.

In genere alcuni parlano di esprimere la parte più profonda di sé stessi e molti altri intendono con questa espressione esprimere i desideri incensurati. Forse nessuno può essere veramente autentico perché nessuno può essere veramente sé stesso e questo dipende dal fatto che nessuno è veramente libero.

Abbiamo tutti costrizioni, imposizioni, divieti che creerebbero sensi di colpa se venissero trasgrediti. A questo punto c’è da stabilire la relazione tra carnalità e spiritualità. Ci sono quattro modi di intendere e di vivere questa relazione: 1) la carnalità sporca l’anima secondo i cristiani.

La rinuncia pulsionale quindi dovrebbe essere collegata strettamente all’elevazione spirituale. 2) carnalità e spiritualità possono coesistere, convivere armoniosamente e senza rimorsi come nel mondo pagano. 3) la carnalità deve essere vissuta in modo esclusivo e la spiritualità deve essere rimossa. Ma un residuo resta sempre. Non si può vivere come gli animali senza che la coscienza rimorda. 4) una persona può vivere carnalmente una parte della vita e poi diventare spirituale, convertirsi, redimersi. È, cristianamente parlando, la pecorella smarrita, il figliol prodigo.

Ognuno può scegliere la via; l’importante è che sia sé stesso, ma è davvero possibile? Forse si dovrebbe dire che ognuno dovrebbe essere sé stesso per quanto possibile. In fondo siamo davvero autentici quando preghiamo e le nostre preghiere sono per la maggioranza interessate? Si potrebbe affermare paradossalmente che nessuno può essere autentico perché nessuno sa chi è veramente. Ad ogni modo siamo tutti alla ricerca del nostro Sé autentico, vogliamo tutti vivere una vita autentica. Ma nessuno è certo di niente. Ognuno per conto proprio deve sentire e valutare cosa è per lui autentico e cosa non lo è. Una definizione esaustiva ed universale di autenticità non esiste. Gli studiosi Kernis e Goldman nel 2006 hanno stabilito che il concetto di autenticità ha molte componenti, ha molte sfaccettature. Potete affidarvi a maestri, santoni, guru, ma per trovare veramente voi stessi dovete decidere innanzitutto di intraprendere un cammino spirituale e poi approfondire la vostra autoconoscenza, iniziare ad interrogarvi.

Tra una persona e la sua parte più autentica si possono frapporre molti ostacoli materiali e non. Tutti dobbiamo fare i conti con i nostri bisogni fisiologici, con la nostra famiglia, con i nostri doveri. Si brancola nel buio perché non sappiamo con certezza assoluta cosa significa essere autentici e vivere autenticamente.

La cosa è alquanto soggettiva. Secondo il Dr. Travis Bradberry un elemento imprescindibile dell’autenticità è la motivazione intrinseca o interna. Le persone autentiche scelgono di vivere in base ai loro desideri e valori. Resta da stabilire se una persona che è giunta al proprio

Sé autentico viva necessariamente una vita autentica o meno, ma ciò ritengo che debba essere valutato caso per caso e dipenda anche da fattori e circostanze esterne. Ad onor del vero per essere autentici bisogna chiedersi se la nostra vita, le cose e le persone che ci circondano hanno veramente qualcosa a che fare con noi.

C’è un legame posticcio tra il nostro io ed il nostro mondo oppure il legame è vero? Dobbiamo sentirlo solo noi. Nessuno può farlo se non noi.

Possiamo essere aiutati. Ma se scegliamo un terapeuta ci vuole autenticità da parte nostra, per quanto possibile. Allo stesso modo avere un maestro spirituale, ad esempio un sacerdote, richiede una certa autenticità da parte nostra. Dopo aver fatto una analisi della situazione, se il nostro modo di essere e di vivere non lo sentiamo autentico inizia la nostra ricerca e dopo eventualmente il cambiamento. Per fare tutto questo ci vuole una certa consapevolezza esistenziale. Talvolta in questo cammino si può finire per lottare con sé stessi, con gli altri ed addirittura con Dio come Giacobbe. A volte riflettendo sull’autenticità sembra che non sia un bisogno primario e che chi la ricerca ossessivamente sia un poco come la principessa sul pisello, che viveva in una torre e dormiva sopra undici letti pregiati e molti comodi, ma nell’undicesimo letto c’era un piccolo pisello che non la lasciava dormire.

Ebbene l’autenticità a volte sembra essere un piccolo pisello, che determina malessere e insoddisfazione. Forse alla fine è solo un’astrazione, una pura utopia. Tuttavia certe domande sull’autenticità bisogna porsele. È doveroso farlo.

Davide Morelli

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