Abbiamo ancora negli occhi le meravigliose immagini di Napoli commentate da Alberto Angela nello speciale “Stanotte a Napoli” del 25 dicembre scorso. Non ho potuto fare a meno di pensare, nell’apprezzare l’interessante trasmissione, al rapporto che intercorre, a vari livelli, fra Napoli e Taranto, rapporto che non è mai stato messo sufficientemente in evidenza.
Eppure le due città, fatte le dovute proporzioni, si somigliano, e “molta Napoli” è a Taranto, più di quanto non si possa immaginare. Non è un caso se una regista del calibro di Lina Wertmuller scelse di girare gran parte delle sequenze del film “Io speriamo che me la cavo” proprio a Taranto, ricreando nella Città Vecchia il contesto dei vicoli napoletani. Certo molto dipende dal mare, protagonista indiscusso delle due città, ma anche da una certa dimensione diffusa di degrado che caratterizza i loro centri storici, dove tuttavia è possibile ancora leggere una straordinaria stratificazione storica che, percorrendo tutto il medioevo, raggiunge le massime vette nel sei – settecento.
Alberto Angela ci ha condotto all’interno della Cappella Sansevero, dove è custodito il famoso Cristo Velato del Sanmartino, il più celebrato scultore napoletano dell’epoca. Quanti sanno che Taranto custodisce ben otto statue del Sanmartino, nel Cappellone di San Cataldo? Nemmeno a Napoli è possibile godere della presenza in un unico luogo di un così grande numero di capolavori del massimo scultore del settecento napoletano.
Abbiamo anche ammirato il palazzo detto dello Spagnolo alla Sanità, accompagnati da Marisa Laurito. Le scale aperte sono la componente peculiare dell’architettura del Sanfelice, altro grande interprete del tardo barocco napoletano. Taranto presenta, in versione minore, rimandi alle invenzioni del Sanfelice, come nel Palazzo Pantaleo, o nel Palazzo Carducci, con la scala a doppio rampante con le tipiche quinte aperte sul cortile.
Abbiamo anche ammirato le tarsie marmoree della chiesa della Certosa di San Martino dell’architetto Fanzago, lo stesso che progetterà i rivestimenti marmorei del Cappellone di San Cataldo. Dalla Campania provengono anche le antiche pavimentazioni maiolicate, le cosiddette riggiòle, dei palazzi nobiliari di Taranto, realizzate nelle fornaci di Vietri.
Ma Napoli è anche il luogo dove i talenti tarantini poterono svilupparsi ed acquisire la giusta fama. E’ il caso di Giovanni Paisiello, che partendo da Taranto all’età di 16 anni, studiò a Napoli divenendo uno dei massimi interpreti della cosiddetta Scuola Napoletana, apprezzata in tutto il mondo, al punto che fu richiesto alla corte di Caterina di Russia.
Facendo un salto di oltre un secolo, sempre in campo musicale ricordiamo il tarantino Mario Costa, trasferitosi a Napoli dove scrisse le più belle canzoni dell’epoca su testi di poeti napoletani, come Salvatore di Giacomo. Sua è la celeberrima Era de Maggio.
Si potrebbe continuare richiamando l’influenza esercitata su Taranto da un nobile napoletano, divenuto sul finire del 700 arcivescovo della diocesi, quel Mons. Capecelatro che dette un nuovo volto all’Episcopio, introducendo fra le altre la moda per le cineserie (vedi il salone principale del primo piano del Palazzo) e che costituì a Taranto la prima biblioteca aperta al pubblico, tutt’ora attiva e di recente restaurata.
Il ponte girevole, simbolo della Taranto post unitaria, fu realizzato dal napoletano Alfredo Cottrau, geniale ingegnere e imprenditore, uno dei massimi progettisti di strutture in ferro dell’epoca.
Quanto all’archeologia, i musei archeologici di Napoli e di Taranto costituiscono le massime istituzioni nel settore, l’una soprattutto per l’arte e la cultura Romana, la seconda per la storia della Magna Grecia.
A quando “Stanotte a Taranto”?
* contributo dell’arch. Augusto Ressa
foto di Occhinegro
Redazione Corriere di Puglia e Lucania