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Per gli esperti Usa un richiamo del vaccino ogni pochi mesi non è realistico

Il pool di specialisti interpellati dal New York Times spiega che la frequenza ravvicinata delle somministrazioni “ha poco senso dal punto di vista scientifico”. Tuttavia una campagna di questo tipo “può aiutare ad alleviare la pressione sul sistema ospedaliero.

AGI – Se la somministrazione di una quarta dose del vaccino contro il Covid-19 ai soggetti ad alto rischio è utile, sottoporre l’intera popolazione a un richiamo ogni pochi mesi “non è realistico” e “ha poco senso dal punto di vista scientifico”. È questo l’orientamento prevalente tra gli esperti interpellati dal New York Times, in una fase che, davanti al diffondersi di una variante che si espande con grande rapidità ma appare meno letale, vede le autorità e la comunità scientifica interrogarsi su come convivere con il virus in una “nuova normalità”.

“Non è una cosa mai sentita somministrare vaccini periodicamente ma ci sono strade migliori dell’offrire richiami ogni sei mesi”, afferma Akiko Iwasaki, immunologa dell’Università di Yale. Prima di tutto, osserva il New York Times, in assenza di un obbligo appare difficile persuadere i cittadini a scoprire il braccio ogni pochi mesi. Se il 73% degli adulti americani ha concluso il ciclo vaccinale, appena un terzo si è sottoposto a un richiamo. “Non appare di sicuro una strategia sostenibile nel lungo termine”, commenta Deepta Bhattacharya, immunologa dell’Università dell’Arizona.

Inoltre, ricorda il quotidiano Usa, non sono disponibili al momento dati a sostegno dell’utilità di una quarta dose per persone non immunodepresse. Nell’attuale fase di rapida diffusione della variante Omicron del nuovo coronavirus, una campagna di richiami può aiutare ad alleviare la pressione sul sistema ospedaliero ma l’incremento dell’immunità è comunque transitorio, sottolinea il New York Times, tanto che alcuni studi preliminari mostrano un decremento del numero di anticorpi già alcune settimane dopo la terza dose.

Inoltre la variante Omicron appare in grado di aggirare le difese immunitarie anche al picco della protezione. “Anche con quei livelli di anticorpi, è molto difficile fermare il virus per un tempo prolungato”, afferma Shane Crotty, virologo del La Jolla Institute for Immunology, in California. “ora l’asticella è molto più alta e forse un vaccino specifico per la variante Omicron farebbe un lavoro migliore”.

“Non ha senso continuare a somministrare richiami per un ceppo che se ne è già andato”, dichiara Ali Ellebedy, immunologo della Washington University di St. Louis, “se vuoi aggiungere una quarta dose, aspetterei decisamente l’arrivo di un vaccino specifico per la Omicron”. Gli esperti puntano inoltre sui trattamenti che potranno essere disponibili nel prossimo futuro, come i vaccini nasali o orali.

Nella lotta contro altri patogeni, in vari casi aumentare l’intervallo tra le dosi si era rivelato più utile al rafforzamento dell’immunità. Alcuni esperti erano addirittura, in un primo momento, contrari del tutto all’ipotesi di un richiamo poichè la campagna vaccinale originale era apparsa sufficiente a evitare i ricoveri per la maggior parte della popolazione. “Omicron mi ha fatto cambiare idea”, spiega Scott Hensley, immunologo dell’Università della Pennsylvania che rimane però contrario a una quarta dose, sul modello israeliano, in quanto altre componenti del settore immunitario, come le cellule T e le cellule B, si mantengono stabili forse anche solo con due dosi e, sebbene non siano in grado di prevenire l’infezione, diminuiscono la gravità dei sintomi e, di conseguenza, le probabilità di finire in ospedale.

“Le persone vaccinate stanno andando davvero bene in termini di ricoveri”, osserva Michel Nussenzweig, immunologo della Rockefeller University di New York. La variante Omicron ha cambiato la logica, ricorda Nussenzweig, non ha più senso cercare di impedire il contagio ma “la questione è tenere le persone fuori dall’ospedale”. Anche l’immunologo della Casa Bianca, Anthony Fauci, pare ormai persuaso che la priorità non sia più impedire le infezioni sintomatiche ma che a contare davvero siano i ricoveri.

La “nuova normalità” potrebbe quindi prevedere, come per l’influenza, la somministrazione di una dose ai soggetti vulnerabili prima dell’inizio della stagione invernale”, spiega Hensley. E sono proprio le campagne vaccinali per l’influenza ad aver mostrato che un’immunizzazione troppo frequente mostra benefici sempre minori. Spetta ora alla Casa Bianca decidere quale sia l’obiettivo: arginare i contagi o semplicemente limitare i ricoveri. “Stiamo andando rapidamente da qualche parte ma non sappiamo dove”, conclude Natalie Dean, biostatistica dell’Emory University di Atlanta, “qualunque cosa riservi il futuro, deve essere chiaro quale sia l’obiettivo”. E fissarlo spetta alla politica.

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